Stati Uniti – Un imperativo salesiano: essere discepoli missionari
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05 Dicembre 2017

(ANS – New Rochelle) – Come Salesiani siamo chiamati ad essere discepoli missionari, persone impegnate a proclamare a tutti la Buona Novella della Salvezza. Per alcuni, rispondere a questa chiamata vorrà dire un servizio missionario in una terra lontana dal proprio paese; per altri un apostolato laddove c’è poca conoscenza o esperienza del Cristianesimo; per altri ancora, una testimonianza in luoghi in cui c’è ostilità verso la fede. Dobbiamo pregare per tutti loro, mentre testimoniano la fede affrontando sfide che forse non sempre abbiamo considerato.

di don Tom Brennan, SDB

La maggior parte di noi non riceverà una chiamata per essere missionario ad gentes, ma tutti i membri della Famiglia Salesiana sono chiamati a bruciare di zelo missionario e ad essere testimoni della fede nel contesto e nella cultura in cui operano. Le sfide che si affrontano nel proprio contesto possono essere scoraggianti: indifferenza e autocompiacimento rafforzati da uno stile di vita basato sulle comodità; isolamento e solitudine in una cultura in rapida evoluzione; paura, sfiducia in un clima di esasperata competitività…

Proclamare i valori del Vangelo, la dottrina sociale della Chiesa e i principi della fede in un mondo descritto da alcuni come un paganesimo di prassi, richiede un esercito di testimoni. Dobbiamo essere i medici nell’ospedale da campo, che curano i feriti dei nostri quartieri e apostolati, nonché i pastori di coloro che cercano una guida morale.

Nel corso della sua viaggio apostolico in Myanmar, Papa Francesco ha invitato i giovani a riflettere sulla loro chiamata alla testimonianza della fede. Ha riportato loro tre domande poste da San Paolo, che toccano tutti quanti.

  • “Come crederanno in lui senza averne sentito parlare?”.
  • “Come ne sentiranno parlare senza un messaggero che lo annunci?”.
  • “Come può esserci un messaggero senza che sia stato mandato?”

Le domande del Papa ai giovani birmani possono avere la stessa risonanza anche nei cuori di chi vive in contesti ben diversi da quelli dei giovani del Myanmar. Ciò che ha indicato a loro si applica perfettamente anche ai membri della Famiglia Salesiana. E mentre iniziamo la stagione dell’Avvento preparando i nostri cuori e il mondo affinché il Verbo Incarnato possa tornare nuovamente, vale la pena riflettere sulle sue parole:

Alcuni si chiedono come sia possibile parlare di lieti annunci quando tanti attorno a noi soffrono. Dove sono i lieti annunci quando tanta ingiustizia, povertà e miseria gettano ombra su di noi e sul nostro mondo? Vorrei, però, che da questo luogo uscisse un messaggio molto chiaro. Vorrei che la gente sapesse che voi, giovani uomini e donne del Myanmar, non avete paura di credere nel buon annuncio della misericordia di Dio, perché esso ha un nome e un volto: Gesù Cristo. In quanto messaggeri di questo lieto annuncio, siete pronti a recare una parola di speranza alla Chiesa, al vostro Paese, al mondo. Siete pronti a recare il lieto annuncio ai fratelli e alle sorelle che soffrono e hanno bisogno delle vostre preghiere e della vostra solidarietà, ma anche della vostra passione per i diritti umani, per la giustizia e per la crescita di quello che Gesù dona: amore e pace”.

Molti di noi sono chiamati ad essere missionari “sul posto”, cioè nella nostra terra di origine, in una cultura familiare che usa un linguaggio che conosciamo sin dalla nascita. Eppure, in alcuni di questi luoghi la fede non è né ben nota, né proclamata con convinzione. Tutti sappiamo che “le parole si muovono, ma le azioni trascinano”. La nostra fede vissuta, la sincerità della nostra testimonianza mostrata dal modo in cui viviamo la nostre vita quotidiana, condurrà molte più persone alla conoscenza di Dio di quanto faranno mai le nostre parole.

Papa Francesco ha detto alla gioventù del Myanmar qualcosa che va detto anche a noi. Diventeremo discepoli missionari?

“Non abbiate paura se a volte percepirete di essere pochi e sparpagliati. Il Vangelo cresce sempre da piccole radici. Per questo, fatevi sentire! Vorrei chiedervi di gridare, ma non con la voce, no, vorrei che gridaste con la vita, con il cuore, così da essere segni di speranza per chi è scoraggiato, una mano tesa per chi è malato, un sorriso accogliente per chi è straniero, un sostegno premuroso per chi è solo”

… Qualunque sia la vostra vocazione, vi esorto: siate coraggiosi, siate generosi e, soprattutto, siate gioiosi!

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