Perù – “Dio ci invita a osservare e a chiederci cosa fare”: don Valdivia, SDB, dalla “Casa Don Bosco per i migranti e i rifugiati” venezuelani

26 Luglio 2019

(ANS – Lima) – “Purtroppo, le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate da persone che sono scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti”, ha denunciato Papa Francesco parlando di migranti e rifugiati. In America Latina ci sono più di 5 milioni di migranti e rifugiati che partono da uno dei Paesi più ricchi del mondo: il Venezuela. Don José Valdivia ci parla di una realtà dura e brutale vissuta dagli 800mila “fratelli venezuelani” emigrati in Perù. In una lunga e commovente intervista racconta l’esperienza con i giovani venezuelani, un lavoro pastorale che inizia alle 21:00 e prosegue fino a dopo l’una di notte.

Quando è nata quest’esperienza con i giovani venezuelani?

Abbiamo iniziato questo lavoro a favore dei giovani nel giorno della Vergine Maria, 24 agosto 2018.

E perché è nata quest’opera?

Come Economo ispettoriale e responsabile delle Case di Don Bosco in Perù, viaggio molto e mi faceva male vedere centinaia di persone, soprattutto giovani, senza nulla da fare, girovagare per le strade di Lima. Ho visto intere famiglie dormire per strada, strette attorno ai propri figli per resistere insieme al freddo intenso di Lima. E mi ha fatto male vedere il gran numero di ragazzi e giovani, con i loro zaini rotti e le loro facce tristi, cercare qualcosa da mangiare e prepararsi a dormire da qualche parte per le vie. Li ho visti vendere sugli autobus ed essere maltrattati. Mi sono chiesto: cosa avrebbe fatto un figlio di Don Bosco?

In quale casa salesiana vengono accolti i ragazzi venezuelani?

Quando ho iniziato a chiedermi come potevo aiutarli, ho capito che a Magdalena del Mar c’era una casa, che precedentemente era la casa di formazione di tanti salesiani, che poteva ospitare questi giovani. Ho visto che Dio mi ha illuminato e con la decisione dell’Ispettore e il sostegno della Fondazione Don Bosco, di don Raúl Acuña, abbiamo iniziato questo lavoro a favore dei giovani venezuelani.

E cosa vogliono fare i salesiani attraverso questa esperienza?

Davvero la situazione dei Venezuelani oggi è una vera e propria crisi umanitaria di migranti e rifugiati. Questi fratelli venezuelani non hanno nulla, non hanno una mèta. Noi salesiani abbiamo deciso di prenderci cura dei giovani tra i 18 e i 25 anni, totalmente indifesi, poveri ed emarginati. La casa si chiama “Casa Don Bosco per migranti e rifugiati”. Abbiamo cominciato a vedere i dettagli e a definire concretamente a chi avremmo aiutato, e abbiamo fatto una scelta secondo il nostro carisma, che prevede un’opzione preferenziale per i giovani poveri e abbandonati.

E quando arrivano a Lima, qual è la situazione di questi giovani?

La situazione è triste, perché sono maltrattati, oppressi, discriminati, abusati e sfruttati. L’unico motivo per cui vengono è che in Venezuela non c’è futuro e la gente muore. A Lima, i giovani, per poter sopravvivere e guadagnare un paio di dollari, devono lavorare 14 ore. Altri vedono come uniche via d’uscita la prostituzione, le rapine o i sequestri. Così i venezuelani sono diventati una minaccia sociale.

E cos’è che ti ha fatto soffrire di più?

Il gran numero di famiglie con bambini tra le braccia e gli sguardi privi di speranza, che non sanno cosa fare, gettati in strada, senza neanche più il desiderio di chiedere l’elemosina. Non hanno niente e non hanno nessuno: sono davvero poveri.

Ai giovani ospiti della Casa Don Bosco cosa viene offerto?

All’inizio chiedevamo loro alcuni documenti, ma nella situazione in cui vivono è impossibile per loro, perché non hanno un centesimo per procurarseli e ancora meno tempo per cercarlo. Pensavamo di ospitarli solo tre mesi nella Casa Don Bosco, mentre si cercavano un altro posto cui andare, ma era impossibile. Molti non trovano lavoro, altri non sanno cosa fare con i pochi soldi che guadagnano e con i quali non riescono nemmeno a sfamarsi, perché li inviano alle loro famiglie, alle loro madri malate o ai loro figli perché possano sopravvivere in Venezuela.

Don José, qual è il tuo lavoro?

Dio ci dona lungo la strada delle esperienze che ci fanno crescere. Dio ci invita a guardare ogni giorno e a chiederci: “cosa devo fare, Signore?”. E la risposta mi è stata data vedendo tanti giovani abbandonati, distrutti per le strade della grande Lima. Arrivo alla “Casa Don Bosco per migranti e rifugiati” alle 21:00 e ritorno alla Casa Ispettoriale alle 2:00 del mattino. Lavoro come Economo ispettoriale e responsabile delle Case di Don Bosco. Il mio unico lavoro è stare con i giovani. Arrivo e loro aspettano che io parli, o meglio, io sono lì per ascoltarli. Molti piangono la loro sfortuna, altri soffrono la distanza, alcuni hanno addirittura perso il desiderio di vivere perché non c’è lavoro e non sanno cosa mandare alla loro famiglia che sta morendo di fame in Venezuela. Cosa offro loro? La mia presenza, il mio tempo per ascoltarli e le mie parole di incoraggiamento. Ma non basta! Hanno bisogno di lavoro.

Avrai molte storie da raccontare… Ne ricordi qualcuna?

Ho molte storie strazianti nella mia mente. Ho molti nomi in mente. Ricordo il caso del ragazzo che è stato arrestato e, non avendo documenti, è stato rimpatriato in Venezuela. Ma è tornato in Perù senza niente, viaggiando per 29 giorni, un po’ a piedi e un po’ in autostop, e alla fine è arrivato a Casa Don Bosco, triste, ma felice di aver trovato amici, un padre e una casa che lo accoglie.

Questo mese di agosto si celebra un anno di servizio a migranti e rifugiati.

Sì, festeggeremo un anno di servizio ai giovani poveri e abbandonati. Ad oggi, più di 130 ragazzi tra i 18 e i 25 anni sono passati per la nostra casa. Certo, sono pochi, ma noi abbiamo risposto secondo le nostre esigenze e le nostre possibilità. Gli offriamo una casa, cibo e sostegno psicologico e spirituale, un posto dove dormire e dove poter lasciare le proprie cose, e soprattutto ha una presenza.

Quali progetti hai nel cuore?

Spero che tutte le case del Perù siano al servizio dei nostri giovani venezuelani, così come fece Don Bosco con i giovani della sua epoca. Molti di questi giovani stanno soli in strada, non hanno nulla; noi salesiani per il lavoro nelle varie opere chiudiamo alcune comunità… Vorrei che ci chiedessimo: cosa potrebbe fare un Figlio di Don Bosco quando vede un giovane povero, abbandonato, sfruttato e sofferente?

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