Il demonio ha paura della gente allegra. Di don Bosco, di me e dell’educare
Wyróżniony

19 marzec 2019
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“Un uomo con un piede nel sogno e uno nella realtà”. È il don Giovanni Bosco da cui prende le mosse la storia raccontata in questo libro: al tempo stesso visionario e pragmatico, convinto che anche un religioso abbia il dovere di dare risposte concrete ai problemi sociali. Il suo messaggio semplice quanto rivoluzionario – allegria, studio e pietà: non serve altro – oggi risuona più forte che mai e dalla Torino dell’Ottocento arriva fino alle strade delle nostre città e ai fronti su cui si gioca il diritto al futuro, dalle periferie ai centri di accoglienza delle nuove migrazioni.

Per questo l’autore, Fabio Geda, sceglie di raccontarlo intrecciando per la prima volta la vicenda umana di Don Bosco alla propria di allievo e educatore, e a un viaggio di testimonianza sui luoghi dei nuovi esperimenti di convivenza in Italia. Nella sua attività educativa, Geda, cresciuto negli oratori salesiani, incontra Don Bosco e i suoi figli con frequenza sospetta: è lui che cerca, forse inconsciamente, il santo, o è il santo che, provvidenzialmente, insegue lui?

Sta di fatto che il piccolo prete monferrino è sempre al suo posto: in mezzo agli ultimi, ai poveri, ai dimenticati, ai trascurati, ai maltrattati, ai respinti. “Una parte di lui è dove c’è chi si prende cura di un territorio e di chi lo abita, a partire dai più piccoli, dalla loro istruzione e dal loro futuro lavorativo. Ovunque ci sia chi, sfidando le povertà e le fragilità proprie e altrui, a volte combattendo contro pulsioni di chi è responsabile senza essere colpevole, cerchi di sollevare lo sguardo verso un bene più grande. Ovunque qualcuno scelga di prevenire prima di dover curare. Sì, alcuni obiettivi possono essere diversi, certe priorità venire scalzate da altre. Non voglio amalgamare le visioni del mondo rendendole una pappetta dal sapore indecifrabile. Ma c’è un agire e un sentire comune attorno a cui è necessario ritrovarsi. Uomini e donne responsabili di tutto il mondo, unitevi!”.

Ci sono in giro per l’Italia, e per tutto il mondo, un sacco di uomini e donne, e non solo preti e suore, ma laici sposati e con figli al seguito, che continuano a prendere alla lettera l’esempio di don Bosco, occupandosi di oratori, case famiglia, associazioni, luoghi di aggregazione; accogliendo, tenendo compagnia, istruendo chi da solo non ce la farebbe mai, italiani e non italiani, dalla pelle bianca o no. Sono credenti, agiscono in nome e per conto del Vangelo, come nell’Ottocento Giovanni Bosco, e Giuseppe Cafasso, e Leonardo Murialdo, e Giuseppe Benedetto Cottolengo e Giuseppe Allamano, e i marchesi di Barolo… I cosiddetti santi sociali torinesi.

Ma pure ci sono i santi laici, che cioè si chinano sul sofferente e sull’indigente semplicemente perché è un essere umano, cioè un fratello in umanità. È il modello buon samaritano: colui che forse non ha nessuna fede, ma “sulla strada da Gerusalemme a Gerico” trova un ferito, scende, si ferma, lo soccorre, lo porta al sicuro, si preoccupa del suo domani. Imita don Bosco, ma non lo sa, né gli interessa.

Fabio Geda ricostruisce l’avventura umana, religiosa e pedagogica di don Bosco, avvalendosi dei suoi scritti, rivisitandoli con gli occhi dell’uomo disincantato e avvertito del Duemila. Ma parla di oggi, e per oggi. Il centrale tema dell’educazione è spesso al centro di dotte quanto inutili tavole rotonde. Una moderna povertà. “Questo bisogna dirlo chiaro, senza giri di parole: don Bosco non suggerisce una scorciatoia, anzi. Imporre e punire è molto più semplice che contrattare e prevenire”. Chi si assume oggi il tremendo-stupendo compito di educare dev’essere prima di tutto coerente: “I valori che predica, scrive don Bosco, deve insegnarli ed egli stesso praticarli”.

Solferino editore, 192 pagine

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