Etiopia – I Salesiani, il VIS e quel soffio di speranza per i ragazzi di strada
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22 Gennaio 2019

(ANS – Addis Abeba) – Come faranno Abel, Yonas, Kayla, Ahmed, o Halima, che a occhio e croce avranno sì e no 7-8 anni, a immaginare il loro futuro, mentre passano la vita per la strada, dormendo sui marciapiedi o in una discarica nascosti in qualche anfratto? Come inventare un futuro plausibile? Il punto d’incontro tra degrado e speranze, ad Addis Abeba, può essere un prete salesiano.

di Carlo Ciavoni

Don Angelo Regazzo, SDB, è un ultrasettantenne che nella sua vita di missionario in giro per il mondo ne ha viste davvero di tutti i colori. Ha persino fatto il corso di sopravvivenza in mezzo alla giungla thailandese, riservato ai salesiani che portano nel mondo il messaggio cristiano. Da oltre vent’anni, cerca di inventare un futuro per questi ragazzini.

Don Regazzo si alza la mattina alle 4 e fa colazione nella mensa del “Bosco Children”, dove i missionari assieme ai volontari laici accolgono ormai più di 400 ragazzi. Poi via, al lavoro. Mette in moto il suo pullman da una trentina di posti e comincia un giro per la città, nelle zone di Kera, Mekanissa, Jemo, Kirkos, lungo la “King Road”, a ridosso dell’aeroporto, per raccogliere bambine e bambini che vivono per strada, costretti a cavarsela da soli al freddo secco e pungente dell’altipiano.

Randagi come sono, si nutrono con quello che trovano, che è sempre meglio del nulla che trovano dove vivevano, in famiglie ormai disperse, nella povertà più nera, dove le “case” sono solo un letto, o poco più, fra violenze e abusi e l’odore delle baracche di stracci e cartoni. Molti si sono stabiliti attorno alla discarica di Ring Road, a Koshe, dove nel marzo dell’anno scorso un’intera collina di rifiuti crollò sulle catapecchie, provocando la morte di 46 persone.

“Purtroppo – confessa Angelo Regazzo – da tutto questo riusciamo a portar via soprattutto i maschi. Le bambine difficilmente si fanno coinvolgere nel programma che abbiamo chiamato ‘Come and See’ (Vieni e Vedi) perché loro, una volta raggiunti gli 11-12 anni, finiscono nell’inferno della prostituzione minorile, ad uso di clienti locali, ma anche di molti europei e americani, rischiando brutte malattie, infezioni, soprusi e gravidanze a 13, 14 anni. Sono attratte dall’idea di una ‘vita agiata’, che per loro vuol dire semplicemente possedere un cellulare, un vestitino, un po’ di trucco per sembrare più grandi”.

Conoscere don Regazzo induce a domandarsi su cosa ci sia nell’animo delle persone come lui, che passano l’esistenza provando – e in buona misura riuscendo – a fare del bene al prossimo, persino a cambiare la vita di molte persone. Lui, così come tutti i volontari che lavorano con lui, con pazienza costruisce con i ragazzini di strada la fiducia indispensabile perché accettino di salire su quel pullman.

Tra i volontari che ruotano attorno al mondo dei discepoli di Don Bosco, in Etiopia c’è anche il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (VIS). L’organizzazione affianca, come organismo laico, l’impegno dei Salesiani, con l’idea di combattere le cause della povertà, di difendere i diritti delle persone, ma soprattutto delle bambine, dei bambini e degli adolescenti emarginati. Lo strumento della cultura salesiana è sempre lo stesso: la scuola e il paziente lavoro di stimolare le capacità individuali e l’autonomia.

Chiara Carmignani, del VIS, è a capo di uno dei 5 progetti finanziati dall’Unione Europea, tutti con lo scopo di contenere i flussi migratori. È un progetto-pilota destinato all’aumento dell’occupazione nell’industria metallurgica, nelle costruzioni e nel tessile, in un Paese dove la crescita economica impetuosa (i cui effetti sono ancora lontani dall’essere redistribuiti e comunque non ancora capaci di formare quel ceto medio, garanzia di stabilità sociale e politica) si accompagna con una crescita demografica altrettanto impetuosa. “Il tasso di crescita anagrafico – dice Chiara Carmignani – ha come immediata conseguenza l’aumento della popolazione, qui nella capitale, con tutto quello che questo comporta, in termini di emarginazione e povertà”.

È un processo tumultuoso che indebolisce l’economia agricola e favorisce uno sviluppo industriale disordinato, alimentato in grande misura da investimenti cinesi, turchi, indiani, europei. Di esempi “invasivi” di capitali stranieri, del resto, non mancano, persino nell’ambito della produzione della birra, potenziale e potente volano economico per l’Etiopia.

In Etiopia il VIS lavora dal 1998 soprattutto nell’ambito dell’educazione, della formazione professionale, dell’inserimento lavorativo, un’eredità storica che discende dalla tradizione salesiana. Ma anche in quello dell’acqua e della salute. L’AICS – l’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo, assieme all’8per mille della CEI – ha finanziato un progetto appena portato a termine, che si chiama “Print your future”. È servito a promuovere corsi in arti grafiche e tipografiche, sartoria, preparazione del catering, lavorazione del legno, meccanica, pelletteria, edilizia, che ha coinvolto oltre 1.000 ragazzi. I corsi si sono svolti nelle scuole salesiane nelle regioni del Tigray (a Mekelle e Adwa), a Gambella e ad Addis Abeba. Lo scorso anno è stata inaugurata la prima scuola di grafica e stampa del Paese.

Da ormai oltre due anni, il VIS – come racconta Chiara Carmignani nel suo ufficio ad Addis Abeba – sviluppa progetti europei orientati alla prevenzione delle migrazioni irregolari, sempre nella regione del Tigray, anche questi concepiti e sviluppati con i finanziamenti della Cooperazione Italiana, del Ministero degli Interni e di “Missioni Don Bosco”, assieme al CISP, la Diocesi di Adigrat e i Salesiani di Don Bosco.

Il mondo dei volontari e dei cooperanti del VIS, esecutori di progetti di sviluppo a lungo respiro o aiuti d’emergenza, si muove nel perimetro di un Paese del Corno d’Africa, dove alla recente (e ancora incerta) distensione ai suoi confini con l’Eritrea, fanno da contrappeso le tensioni per le sempre più evidenti disparità sociali. Stringendo l’obiettivo, appare poi una città sempre più “globale” come Addis Abeba, che con il suo inurbamento rapido, crea certamente inedite occasioni di crescita, ma mette in luce le sfide e le contraddizioni delle società contemporanee.

Fonte: La Repubblica

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