India – COVID-19 mette in luce le falle strutturali del nostro sistema
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08 Maggio 2020
Lavoratori migranti interni indiani che vivono sotto un cavalcavia a Delhi

(ANS – New Delhi) – Jamlo Makdam, una ragazzina lavoratrice di 12 anni, migrante interna tra gli Stati dell’India, è morta alcuni giorni fa cercando di tornare dallo Stato di Telangana, dove lavorava, nel suo Stato di origine, il Chhattisgarh. La piccola Jamlo era dovuta emigrare dal suo villaggio a causa della povertà in cui versa la sua famiglia, che sopravvive con i prodotti della foresta, e per cercare un’altra fonte di reddito i genitori l’avevano mandata con un gruppo di migranti interni stagionali a lavorare alla raccolta del peperoncino.

A seguito del lockdown imposto dalle autorità per contenere i contagi di COVID-19, i lavoratori adulti del suo gruppo hanno deciso di camminare per circa 150 km, nella calura che contraddistingue questi tempi, per tornare a casa, perché non avevano mezzi per sopravvivere lì. Jamlo è riuscita a coprire la maggior parte della distanza in 3 giorni, ma è crollata a circa 50 km dal suo villaggio. I medici attribuiscono la sua morte allo squilibrio degli elettroliti. Non aveva mangiato adeguatamente, dato che non si sentiva molto bene. Il test COVID-19 è risultato negativo. Allora, cosa l’ha uccisa?

Molto semplicemente, il nostro sistema. Un sistema che permette il lavoro minorile. Che non offre salute o sicurezza salariale ai lavoratori a giornata. Un sistema che non sostiene i diritti dei migranti interni. È in questi grandi vuoti che Jamlo e quelli come lei cadono, fino a morire.

La consapevolezza di tutto ciò è quello che ha spinto migliaia di migranti a tentare qualsiasi mezzo per tornare alle proprie case, per poter trovare almeno la parvenza di sicurezza emotiva, se non economica. Le ONG lo sanno, e lo sanno anche le autorità.

Per questo motivo la rete degli organismi salesiani in India ha lavorato per creare diverse strutture di supporto durante il periodo pre-COVID 19, rivolte soprattutto ad aiutare, in questi momenti traumatici, i migranti poveri. “Don Bosco Solidarity COVID-19 Relief” in India, si è mossa attraverso la rete salesiana, che nel Paese conta 11 Uffici ispettoriali di Pianificazione e Sviluppo e 254 presenze.

Ha raggiunto i migranti, le persone in condizione di strada, gli abitanti delle baraccopoli, gli anziani, i bambini, i transgender, le tribù delle zone isolate. La Famiglia Salesiana ha collaborato con i governi statali, le aziende, le amministrazioni locali, altre ONG, i servizi sanitari e del lavoro e i singoli volontari per aiutare i migranti.

Con l’obiettivo di sostenere e accompagnare i bisognosi, solo fino al 26 aprile scorso, l’operazione “Don Bosco Solidarity COVID-19 Relief” aveva già distribuito oltre 81.969 kit di cibo, dando da mangiare a 328.059 persone; aveva già prodotto e distribuito 236.515 maschere protettive; ha alimentato con pasti cucinati 82.338 persone e distribuito 260.000 litri d’acqua potabile, 9.683 kit sanitari, disinfettanti e medicinali, ove possibile. E tutto questo va aggiunto anche il servizio di consulenza psicologica offerto gratuitamente. Semplicemente, si è cercato di rispondere alle esigenze in ogni modo possibile.

Purtroppo, tutti questi enormi e lodevoli sforzi non sono sufficienti in un Paese come l’India. Ed è per questo che Jamlo è morta. È diventata appena un effetto collaterale nel caos mondiale dell’ordine costituito. Ma la sua morte alimenta la determinazione del Don Bosco Network a raggiungere i bambini, le bambine e i giovani come lei, direttamente e indirettamente attraverso le loro famiglie, affinché simili tragedie non si debbano ripetere.

InfoANS

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