Uganda – Don Arasu: “Covid-19 ha derubato i rifugiati del poco che avevano”

08 Ottobre 2020
Foto: Don Ubaldino Andrade, SDB

(ANS – Palabek) – “I miei figli stanno morendo di fame. Non hanno mangiato niente negli ultimi tre giorni e moriranno se non riesco a procurargli un po’ di cibo”, afferma disperata Adol Majok, una donna di 38 anni, vedova e madre di cinque figli. Majok oggi vive nel campo per rifugiati di Palabek, dove sono presenti anche i Salesiani. Vi è arrivata tre anni fa, dopo che suo marito è stato ucciso nei combattimenti avvenuti a Pajok, una città del Sudan del Sud.

Arrivata a Palabek con solo i suoi vestiti addosso, dopo alcuni mesi Majok è riuscita a mantenere se stessa e la sua famiglia con la vendita di prodotti da the. Ma la sua vita è cambiata di nuovo nel momento in cui il governo ha annunciato il primo caso confermato di coronavirus nel Paese. “Sono riprese le mie sofferenze. Ho dovuto chiudere la mia attività e di conseguenza è mancato da mangiare per me e i miei figli. Ora dipendo dagli aiuti”.

Deng Ajiing è un’altra rifugiata accolta a Palabek. È fuggita nel 2017, con il figlio piccolo, anche lei vittima degli scontri di Pajok, dove suo marito è stato ucciso e sua figlia violentata e uccisa dai soldati in sua presenza. Si è ripresa dai traumi, ma la pandemia ha peggiorato nuovamente la sua situazione. “Le cose vanno davvero male. Ho pensato di morire e di raggiungere mio marito e mia figlia. Ma ringrazio le persone che mi hanno offerto cibo e sostegno emotivo durante questo periodo” racconta.

Majok e Deng sono tra i circa 46mila rifugiati, per lo più sudsudanesi, di Palabek, una piccola parte degli oltre 1,4 milioni di rifugiati attualmente accolti in Uganda. Persone che ora con la pandemia soffrono la fame a causa dell’interruzione degli aiuti, la perdita di reddito e l’aumento dei prezzi dei generi alimentari.

I salesiani a Palabek cercano di aiutare i bisognosi con cibo, vestiti e altri beni fondamentali, oltre che supporto psicologico.

“Dobbiamo ricordarci dei rifugiati: sono tra i gruppi più vulnerabili e Covid-19 li ha derubati anche del poco che avevano”, afferma il Direttore della missione salesiana interna al campo, il salesiano indiano don Lazar Arasu. “Soffrono perché sono i più colpiti dalla pandemia. Le razioni di cibo sono ridotte a causa dell’isolamento. Ma stiamo facendo del nostro meglio per aiutarli in questo momento difficile”.

I salesiani stanno fornendo ai rifugiati anche sementi certificate, fertilizzanti e sostegno agricolo per aiutarli ad auto-mantenersi. “Stiamo lentamente trovando soluzioni per permettere ai rifugiati di essere autosufficienti. E per questo stesso motivo abbiamo anche preso in affitto per loro dei terreni dai vicini ugandesi” prosegue.

Il catechista Peter Jok, anche lui rifugiato sudsudanese, è impegnato nel distribuire mascherine, sapone e disinfettanti per prevenire i contagi. “Siamo tutti preoccupati, non vogliamo che nessun rifugiato contragga il virus qui. Sarebbe devastante. Li stiamo incoraggiando a mantenere la distanza sociale e a rispettare le linee guida del governo per combattere il virus” spiega.

Don Arasu osserva pure che le difficoltà causate dalla pandemia potrebbero aggravare ulteriormente le condizioni di salute mentale dei rifugiati. Per questo i salesiani offrono anche informazioni, consulenza e sostegno psicosociale e spirituale ai rifugiati vulnerabili del campo. “I rifugiati hanno un continuo bisogno del nostro sostegno e delle nostre preghiere. Ne hanno passate davvero tante. Stiamo offrendo assistenza pastorale e consulenza psicologica per farli sentire amati” conclude don Arasu.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) prevede che, a meno che non vengano prese misure urgenti per affrontare la situazione, si registrerà un serio peggioramento della nutrizione e della salute tra la popolazione rifugiata, soprattutto tra i bambini.

Fonte: Catholic News

InfoANS

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