Myanmar – Il card. Bo, SDB, a difesa della popolazione minacciata dalla diga di Myitsone

12 Febbraio 2019

(ANS – Myitkyina) – “L’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi”, scrive Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Si’ (n° 51). Nello stesso passo il Santo Padre mette in guardia da quelle imprese che per interessi immediati lasciano grandi danni umani e ambientali: “villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate…”. In sintonia con il magistero di Papa Francesco, e a difesa del suo gregge di fedeli, il cardinale salesiano Charles Maung Bo si sta battendo contro la ripresa dei lavori per la diga di Myitsone.

La diga di Myitsone è un imponente progetto di costruzione cinese, da realizzare alla confluenza dei fiumi Mali e N’Mai, che si uniscono e vanno a formare l’Irrawaddy. Essa sarebbe la prima diga a sbarrare il fiume Irrawaddy, che rappresenta la culla della civiltà del Myanmar, e verrebbe sfruttata al 90% dalla sola Cina. 

I lavori per la costruzione della diga – capace di generare una potenza di 6.400 megawatt, e dal valore di 3,6 miliardi di dollari – sono stati interrotti nel 2011, a seguito delle proteste popolari, che denunciavano timori per l’impatto ambientale del progetto e gravi disagi per la popolazione locale – in buona misura cristiana.

Negli ultimi tempi, tuttavia, si sono fatti più forti i segnali di una possibile ripresa dei lavori e per questo molte voci, anche nella minoranza cristiana, si sono elevate a difesa di chi più rischia per via di questo progetto. Tra tutte si è innalzata quella del primo porporato nella storia del Paese, il cardinale Bo.

“Noi, popolo del Myanmar, con le lacrime agli occhi, i nostri cuori scossi dalla paura e dal dolore, bussiamo alle porte dei nostri governanti e della comunità internazionale” esordisce il salesiano, invocando l’aiuto di tutte “tutte le persone di buona volontà” in soccorso “dei poveri del Myanmar”.

Successivamente il presule ricorda cosa significhi l’Irrawaddy per la nazione: “L’Irrawaddy non è un fiume per noi; lei non è una merce da barattare. Lei è la madre sacra di ogni popolo del Myanmar. La sua storia si intreccia con la storia del Myanmar. Come il gioiello al collo della nostra nazione, l'Irrawaddy attraversa l'intera nazione lungo migliaia di chilometri. È testimone dei nostri dolori, gioie e di una storia ferita. Lei è la nostra speranza, lei è il nostro destino”.

Le motivazioni culturali e storiche si uniscono ai risvolti socio-economici del progetto: “Per una nazione agricola, dove l’80% della popolazione vive coltivando la terra, l’Irrawaddy è un infaticabile accompagnatore nel suo sostentamento”.

Ora, denuncia il prelato “è il momento della tragedia straziante. La diga di Myitstone è una condanna a morte per la popolazione del Myanmar. La cupa prospettiva di milioni di agricoltori che perdono il loro sostentamento, la violazione di siti sacri lungo i fiumi, la morte e la distruzione della preziosa flora e fauna della nostra cara nazione, sta diventando una realtà da incubo. Questa diga è un disastro ambientale”.

“A nome di tutto il popolo del Myanmar – conclude il salesiano – in particolare dei contadini poveri, chiediamo sinceramente a tutte le parti interessate di interrompere i loro tentativi di abusare della nostra madre Irrawaddy. Invitiamo vivamente il popolo del Myanmar a collaborare per proteggere la dignità di nostra madre Irrawaddy. Siamo fiduciosi che i nostri leader resisteranno a tutti gli sforzi per distruggere il destino e la dignità della nostra nazione”.

Fonte: AsiaNews

InfoANS

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