Carteggio Rosmini – Don Bosco
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24 Noviembre 2020
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«Ella – proseguì Don Bosco rivolgendosi al secondo – avrà la classe dei più dissipati!». Ad Antonio Rosmini, scrive nelle Memorie biografiche di Son Giovanni Bosco il suo primo biografo, il salesiano Giovanni Battista Lemoyne, Don Bosco affidò «la classe dei più dissipati» e dopo ascoltando i suoi discorsi, rimase molto impressionato dalla sua capacità di dare “spiegazioni così sode e tuttavia molto adatte all’intelligenza dei giovani”. Lo pregò quindi di tener loro anche dopo i vespri un “sermoncino”. A cose fatte Don Bosco decise di informarsi su chi fossero i due visitatori e, saputo che uno dei due era l’abate Rosmini “sorpreso esclamò: L’Abate Rosmini! il filosofo!” “Oh? Il filosofo!”, rispose sorridendo Rosmini. “Un personaggio di tanto grido – continuava Don Bosco – colui che scrisse tanti libri di filosofia!”. “Eh, sì; scrissi qualche libro!”, rispose Rosmini. E Don Bosco, soggiunse: “Allora non mi stupisco più se lei ha fatto il catechismo tanto bene e con tanto sugo”. Ecco l’incipit di quella che si rivelerà una grande storia di amicizia e simpatia, cominciata a Torino tra il 1836 e il 1845 e mai interrotta, tra San Giovanni Bosco, il beato Antonio Rosmini e tra Rosminiani e Salesiani.

Ora la cifra e l’emblema di questa amicizia è riportata nel volume che raccoglie il Carteggio Rosmini – Don Bosco pubblicato dalle Edizioni Rosminiane, per la cura di Gianni Picenardi e con la presentazione del cardinale Tarcisio Bertone, SDB, e del Preposito Generale dei Rosminiani. P. Vito Nardin.

Sei le tematiche che animano le lettere: la “promozione vocazionale” , il “progetto iniziale di una comune collaborazione per Valdocco” (1850) con l’idea di una casa rosminiana accanto all’istituto salesiano, la “costruzione della chiesa di S. Francesco di Sales” (1851), “progetti di aprire una casa rosminiana e una tipografia comune a Torino” (1853), l’“acquisto del terreno a Valdocco e la sua successiva rivendita a Don Bosco” (1851-1854) e infine le “buone relazioni e l’amicizia tra Salesiani e Rosminiani” proseguite fino ai nostri giorni.

Non si pensi che il dialogo tra queste anime elette non toccasse temi prosaici, perché spesso si tratta di soldi (in lire e in sterline) e cambiali, conti correnti, debiti e interessi, cedole al portatore e rendite, progetti di acquisti e vendite, disegni di fabbricati, sullo sfondo dell’Italia risorgimentale e del conte Cavour, spesso nella persona del suo amministratore, Carlo Rinaldi, frequentemente impegnato a Torino per conto di Rosmini nei rapporti economici con Don Bosco (tra i due, epistolografo più assiduo). E può capitare di trovare (lettera di don Puecher a Rosmini, 5 luglio 1850) una descrizione di Don Bosco in questi termini: “mi pare un sacerdote fornito di molta pietà, semplicità e carità; di un’indole mansueta, benevola e dolce; d’ingegno e cognizioni discrete, ma nulla più; di viste alquanto ristrette e anguste…”.

Su prevalenti questioni pratiche s’innestano i propositi di “salute delle anime” per la quale tanto si adoperarono Rosmini e Don Bosco, differenti per nascita e indole intellettuale, ma entrambi all’insegna di un comune denominatore: la carità, attirando da subito un gruppo di collaboratori sempre crescente, per numero e zelo. Nella presentazione del volume, il cardinale Bertone parla dei due protagonisti come “due stelle di prima grandezza nel firmamento del Cielo, due carismi che hanno impreziosito la Chiesa e dato vita a due famiglie religiose che continuano a riverberarne la luce nel mondo”, sottolineando la “relazione di carità” da loro condivisa; mentre padre Nardin pone l’attenzione sulla Chiesa come “società dei figli di Dio”: “alla vita consacrata spetta il compito di vivere e favorire il più possibile la realizzazione della preghiera di Gesù”.

Edizione Rosminiane, 216 pagine

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