Italia – Una ricca testimonianza di Don Pascual Chávez su Don Egidio Viganò
Spécial

27 juillet 2020
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(ANS – Roma) – Il 26 luglio 2020 è stato il centenario della nascita di Don Egidio Viganò, nato a Sondrio nel 1920. Una data che non può passare inosservata perché si tratta della vita e della storia di uno dei Salesiani che più hanno contribuito a dare alla Congregazione Salesiana la sua fisionomia odierna. Di seguito riportiamo una ricca testimonianza sulla vita salesiana di Don Viganò curata da Don Pascual Chávez, IX Successore di Don Bosco.

Don Egidio fu designato, per errore, missionario in Cile, anche se lui non aveva mai presentato nessuna domanda, per cui rimase sorpreso quando gli fu comunicato che il suo desiderio era stato accolto favorevolmente e che sarebbe stato inviato come missionario in Cile. Il giovane chierico espresse ai superiori la sua perplessità, soprattutto per aver verificato che c’era stato una confusione con un altro Viganò (Pietro) il quale invece aveva espressamente chiesto di essere missionario. Gli fu comunque richiesta la sua disponibilità per il Cile e la risposta fu: “Se voi mi mandate, vado”.

Penso che proprio in quella occasione cominciò a rivelarsi un elemento fondamentale della spiritualità di don Egidio: mettere da parte i propri progetti e lasciarsi guidare dallo Spirito Santo. Il Cile diventò, infatti, oltre che la sua seconda patria, un vero tornio dove il ‘divino vasaio’ plasmò la sua ricca personalità, sia nel campo umano che salesiano, sacerdotale, teologico, ecclesiale.

A Santiago realizzò la sua formazione teologica, quindi svolse il ruolo di Direttore del Teologato, fu Professore di teologia dogmatica all’Università Cattolica del Cile, partecipò al Concilio Vaticano II svolgendo un prezioso servizio come teologo perito del Card. Raùl Silva Henrìquez, SDB.  Fu poi nominato Ispettore e successivamente Consigliere Generale per la Formazione e finalmente Rettore Maggiore della Congregazione Salesiana per 18 anni, dal 1977 al 1995.

“Guardare la realtà con senso di Chiesa”

Nell’importantissimo e delicato processo di rinnovamento delle Costituzioni Salesiane (dal 1971 al 1984), chiesto dal Concilio Vaticano II, che coinvolse tutta la Congregazione, è giusto evidenziare una figura decisiva: don Egidio Viganò. Alla luce della nostra fede, che ci invita a scoprire l’azione di Dio nella storia, risulta provvidenziale che la persona chiamata a guidare la Congregazione in una tappa così delicata come quella postconciliare, abbia potuto partecipare anche alle sessioni del Concilio, come perito teologo del Card. Raùl Silva, Arcivescovo di Santiago de Cile.

Il Concilio Vaticano II, fu definito da Don Viganò «l’avvenimento ecclesiale del secolo, una visita dello Spirito Santo alla Chiesa, la grande profezia per il terzo millennio del cristianesimo» Infatti Il Concilio diede il via ad una riforma della Chiesa, alla quale furono chiamate tutte le Congregazioni non di meno i Salesiani.

Il Vaticano II ha lanciato una sfida ed un richiamo a tutti gli Istituti Religiosi, affinché, nella fedeltà e con audacia, riprogettassero la specifica identità carismatica del Fondatore.

I motivi che portarono la Chiesa a chiedere alla Vita Religiosa un profondo rinnovamento, si possono sintetizzare in tre aree:

1)     Il riferimento alla persona di Gesù.

La consacrazione a Dio nella sequela di Gesù si capisce solo come una risposta ad una chiamata personale, che si traduce in un incontro particolare con Gesù mediante la professione dei tre voti (ubbidienza, povertà, castità), e che fa di Gesù e del suo Vangelo «la Regola vivente e suprema».

2)        Il posto che occupiamo nella Chiesa.

  • Il fatto che la Vita Religiosa non sia una alternativa della Chiesa ma una forma di vita evangelica in essa, comporta delle conseguenze teoriche e, soprattutto, pratiche:
  • Il carattere proprio della Vita Religiosa non significa per quest’ultima nessuna superiorità riguardo a tutti gli altri cristiani.La situazione della Vita Religiosa all’interno della comunità ecclesiale fa sì che questa sia in un rapporto di complementarità con le altre vocazioni della vita cristiana: laici e sacerdoti.
  • Lo specifico della Vita Religiosa consiste nell’essere essenzialmente e sempre una forma di vita evangelica. Ciò significa che il Vangelo è l’ultima norma, per cui il superiore non può mai occupare il posto di Cristo, né la Regola essere superiore al Vangelo, ed il ritmo di vita è sottoposto ai cicli liturgici dell’anno.

3)        Il rapporto con il mondo

Sebbene per molto tempo il cristianesimo e la Vita Religiosa si siano presentati come negazione del mondo o una fuga dal medesimo, il Concilio Vaticano II proclamò la bontà della creazione e del mondo “che Dio tanto amò e per il quale offrì il suo unico Figlio” (cf. Gv 3, 16), e la sua relativa autonomia, per cui non si può costruire una vita religiosa come una fuga dal mondo, ma piuttosto come una chiamata a impegnarsi attivamente per continuare la missione di Gesù.

Sia le profonde trasformazioni realizzate nel mondo, fin dagli anni ’60, sia questa consapevolezza rinnovata della Chiesa d’essere al servizio del mondo e dell’uomo, diedero una grande spinta alla pastorale.

Difatti, “questa emergenza della «pastorale» come categoria di orientamento e di valutazione per i diversi interventi della Chiesa è conseguenza del Concilio Vaticano II, chiamato appunto (dallo stesso Giovanni XXIII) un «Concilio pastorale» proprio per il taglio e l’impostazione di tutta la sua riflessione”. 

Questo sforzo supponeva “muovere la Congregazione verso un’attenta riflessione sul momento storico, la solidarietà con le urgenze del mondo e le necessità dei piccoli e dei poveri, in una crescita omogenea con l’identità del progetto iniziale e dei suoi originali valori, suscitati dallo Spirito e destinati a uno sviluppo vitale al di lá dei rivestimenti caduchi”.

Non si trattava quindi di rinnovare solo la nostra prassi salesiana, ma piuttosto il salesiano e la vita salesiana. “La profezia che il mondo giovanile attende da noi Salesiani oggi è, in primo luogo, la novità del cuore infiammato dall’ardore di quella carità pastorale definita da don Bosco nel suo «da mihi animas coetera tolle»”.

Il risultato finale del lavoro capitolare fu – secondo le parole del Rettore Maggiore don Viganò – «un testo organico, profondo, migliorato, permeato di Vangelo, ricco della genuinità delle origini, aperto all’universalità e proteso al futuro, sobrio e dignitoso, denso di equilibrato realismo e di assimilazione dei principi conciliari. È un testo ripensato comunitariamente in fedeltà a Don Bosco e in risposta alle sfide dei tempi».

In effetti, il nuovo testo costituzionale collocò nella prima parte, sulla identità e il ruolo dei salesiani nella Chiesa, due capitoli sullo spirito salesiano e sulla professione religiosa. Nella seconda parte si posero i tre elementi inscindibili della vocazione salesiana: la missione, la vita di comunione e la pratica dei consigli evangelici. Così si superava definitivamente la tendenza a insistere sul primato di uno dei tre aspetti a scapito degli altri. Questa parte si chiudeva con il capitolo sulla vita di preghiera. La terza parte, dedicata alla formazione, e la quarta, al servizio della autorità, conservarono la loro struttura.

Si riuscì così a descrivere fedelmente una tipologia di vita concreta, l’esperienza di Don Bosco e dei primi salesiani, capace di inspirare e guidare il nostro progetto di “sequela Christi” per i giovani. In questo nuovo testo costituzionale si riassumono la dottrina spirituale, i criteri pastorali, le tradizioni originali, le norme di vita, cioè l’indole propria ed il nostro itinerario concreto di santità. Come scriveva Don Viganò nella Introduzione degli Orientamenti Operativi, «i veri documenti del Capitolo Generale XXII sono i testi delle Costituzioni e dei Regolamenti Generali».

La redazione definitiva della Regola di Vita portò con sé, fra altre cose, il rinnovamento della Ratio, che doveva raccogliere il nuovo Codice di Diritto Canonico e le nuove Costituzioni, ed integrare, di pari passo, il contributo delle scienze umane. L’idea centrale era che tutta la formazione dei salesiani si addicesse alla natura della vocazione e della sua missione specifica di educatori e pastori dei giovani.

La Congregazione poteva cominciare una nuova fase della sua storia: fare il passo «dalla carta alla vita».

Se a questo aggiungiamo la finissima sensibilità di don Egidio per il tema della Chiesa e del suo rapporto con il mondo, arricchito inoltre con la partecipazione alle Conferenze dell’Episcopato Latinoamericano a Medellìn (1968), a Puebla (1979), a Santo Domingo (1992), possiamo apprezzare di più il suo contributo decisivo perché la Congregazione crescesse sempre di più nel sensus Ecclesiae, perché i Salesiani imparassero a “guardare la realtà con senso di Chiesa”. 

Infine, di Don Viganò menziono un altro documento molto significativo: la sua Lettera Circolare “Come rileggere oggi il Carisma del Fondatore” del 1995. Si tratta dell’ultima Lettera che scrisse alla Congregazione, prima di passare alla Casa del Padre il 23 giugno dello stesso anno.  Possiamo considerarla come il suo ‘testamento spirituale’. Di fatto appaiono in essa moltissimi temi che si presentarono costantemente nella sua animazione e nel suo magistero, come il tema della consacrazione accentuando due elementi: è opera di Dio, non dell’uomo e, inoltre, non si riferisce a ‘un elemento settoriale (abitualmente contrapposto alla ‘missione’), ma è inclusivo e abbraccia tutta la vita e l’attività della persona consacrata. E il tema della grazia di unità, che “rende (il salesiano) capace di una sintesi vitale tra la pienezza della consacrazione e l’autenticità dell’operosità apostolica”. Penso che con questa grazia di unità dobbiamo camminare verso il futuro.

I miei ricordi personali

L’elezione di Don Egidio a Rettore Maggiore, nel Capitolo Generale 21 (1977), coincise con la fine dei miei studi di Sacra Scrittura all’Istituto Pontificio Biblico, e ricordo la grande gioia che suscitò in noi la sua elezione. Ormai da Consigliere per la Formazione era già molto conosciuto e apprezzato, oltre che per la sua preparazione culturale e identità salesiana, anche per la sua sensibilità latinoamericana.

Nel 1980 ero tornato in Europa, questa volta a Salamanca, Spagna, per il Dottorato in teologia biblica. E accadde che, dopo pochi mesi che avevo iniziato il corso, mi chiamò a Roma per dirmi che dovevo tornare nel Messico perché mi aveva nominato Direttore del Teologato. Gli risposi che avevo appena cominciato il dottorato e che mi avevano dato due anni per concluderlo. La sua risposta fu: “È importante avere progetti, ma è più importante lasciarsi guidare dallo Spirito”. Ovviamente io accettai ma gli disse che se tornavo dovevo avere la sua autorizzazione per rifondare il teologato, creare un vero centro di studi teologici, avere una casa per gli studenti e un’equipe di formatori. Lui mi disse che potevo contare su di lui, mi consegnò la prima bozza della ‘Ratio formationis et studiorium” dicendo che era finito il tempo degli esperimenti in formazione e che era arrivata l’ora di formare secondo i criteri della Congregazione. Non solo, mi diede anche delle indicazioni molto preziose sul modo di accompagnare i formatori e gli studenti. E così ebbe inizio un rapporto personale che andò sempre crescendo. Io mi sentivo molto apprezzato da lui, e questo si capiva, come me lo confermò uno dei membri del Consiglio Generale. Da parte mia avevo una grande ammirazione per il suo magistero.

Durante il mio periodo come direttore ebbi il suo supporto per la costruzione, inviò il Consigliere della Formazione per l’inaugurazione e più tardi venne lui stesso a visitare il nuovo teologato. Volta per volta, dovendo venire a Roma per diversi raduni, uno dei momenti più arricchenti era sempre l’incontro personale con lui.

Nel dicembre 1988 con una chiamata telefonica mi comunicò la mia nomina a Ispettore dell’Ispettoria di Guadalajara, dicendomi che ero un ispettore del centenario della morte di Don Bosco e che dovevo essere un animatore del carisma e della missione come lui. Insieme a questo, mi diede di nuovo una indicazione precisa, recarmi da lui il più presto possibile perché facessi una visita ai due confratelli inviati in Guinea Conakry, paese che era stato affidato alla nostra ispettoria dentro il Progetto Africa, ma che si trovavano in situazione di grande precarietà. In questo modo cominciai il mio servizio dalla parte più lontana e bisognosa di accompagnamento. Era una forma molto saggia di dirmi come interpretare il servizio di animazione e governo dei confratelli, delle comunità, dell’Ispettoria. Difatti, ogni anno visitavo le nostre comunità di Guinea e, sia prima che dopo il viaggio, andavo da lui per aggiornarlo sullo sviluppo e sui progetti.

Da Ispettore, oltre l’amministrazione ordinaria, ho avuto una corrispondenza regolare con don Egidio informandolo sul cammino dell’Ispettoria, soprattutto perché da anni avevamo un progetto per una rete di presenze nel nord del Messico, specialmente nella frontiera con gli Stati Uniti. Si trattava di un tipo nuovo di oratorio nelle grandi città confinanti con gli Stati Uniti. Quando Don Egidio venne a visitare queste opere rimase affascinato perché gli sembrava di vedere la forma in cui era nato il carisma e la Congregazione a Valdocco.

Nel dicembre 1994 conclusi il mio mandato e Lui mi chiamò per ringraziarmi e dirmi che adesso dovevo concludere il dottorato, per cui mi attendeva nella Casa Generalizia. In quel momento appariva già molto provato per la malattia, ma continuava a mantenere la serenità e il sorriso malgrado i dolori. Quando gli domandai a quale scopo dovevo concludere un dottorato iniziato 15 anni prima, quando tutto ormai era cambiato! Ancora una volta mi rispose; non sappiamo se dopo andrai come ispettore in un’altra ispettoria, o se andrai come professore all’UPS, o se verrai a collaborare nella Direzione Generale. “Ora la Congregazione ha bisogno del tuo dottorato, ho dato indicazioni a don Vecchi - allora suo Vicario - perché non ti distraggano in altre cose, e tu lasciati guidare dallo Spirito”.

Questo è stato l’ultimo incontro con lui, indimenticabile. Io sono andato in Spagna e lui rimase qui con la speranza di arrivare al CG24, convocato da lui per consegnare la Congregazione al suo successore, ma ancora una volta “si è lasciato guidare dallo Spirito”.

Don Egidio Viganò è stato un grandissimo Rettore Maggiore, che seppe collocare e accompagnare la Congregazione nel passaggio a una ridefinizione di se stessa, alla luce del Concilio Vaticano II, in fedeltà dinamica e creativa a Don Bosco, e con la stessa passione apostolica per i giovani specialmente i più poveri e abbandonati.

Un uomo della risata spontanea, di un ottimismo eccezionale, lungimirante, che nel suo primo messaggio ai salesiani scrisse: «Condivido con tutti voi la convinzione della bellezza della nostra vocazione, da attuare in un tempo che rapidi mutamenti rendono problematico ma anche ricco di speranze». Perciò ha rinnovato loro l'invito a «un impegno a tempo pieno e a piena esistenza, per la gioventù». E nel primo incontro con i Cooperatori salesiani, additando loro il progetto di Don Bosco che si compie nel tempio e nello spazio, ha precisato: «C'è più futuro che passato: cento anni di storia, e secoli di avvenire»

Il teologo che ci lasciò un ricchissimo magistero salesiano, con le sue lettere che erano – con parole sue “non da leggere, ma da studiare”.

Mi compiace di finire questa mia personale testimonianza dicendo della straordinaria impressione che ebbe in me la lettura delle sue risoluzioni in occasione della sua ordinazione sacerdotale, esigenti con se stesso, comprensivo con gli altri, disponibile senza condizioni a Dio e alla sua volontà: “Quando Dio chiede, non si può mai dire di ‘no’”.

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