COME BALSAMO E COME FUOCO
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17 Aprile 2020

«La grazia che viene dal Signore, alla quale mi abbandono, il vostro aiuto, quello di tutti i salesiani nei luoghi più diversi del mondo, e l’amore che ho e che abbiamo per i nostri giovani, specialmente i più poveri, mi danno la pace e il coraggio necessari».

Carissimi amici e fratelli della Famiglia Salesiana, cominciando il mio nuovo sessennio, condivido con voi quello che sente il mio cuore. Prima di tutto ringrazio Dio nelle cui mani amorevoli tutti ci troviamo e muoviamo. Dio ci ha guidato fino a questo momento. Il che ho nuovamente pronunciato nasce dalla fiducia in Dio e in voi tutti, che formate la grande anima e il grande cuore di questa nostra amata Famiglia.

L’emozione è grande.

Mi sento ancora sopraffatto dall’essere successore di Don Bosco, padre e centro di unità della Famiglia Salesiana. E sono senza parole, ancora una volta, quando leggo nel testamento spirituale di Don Bosco ciò che il nostro Padre ci ha lasciato scritto al riguardo:

«Prima di partire per la mia eternità io debbo compiere verso di voi alcuni doveri e così appagare un vivo desiderio del mio cuore (...) Vi lascio qui in terra, ma solo per un po’di tempo (.,.), il vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro che avrà cura dì voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregare per lui, come avete fatto per me».

Le parole del nostro amato padre Don Bosco risuonano nella mia mente e nel mio cuore come balsamo e come fuoco allo stesso tempo. La sua figura è così grande che inevitabilmente mi sento piccolo e indegno. Solo la grazia che viene dal Signore, alla quale mi abbandono, il vostro aiuto, quello di tutti i salesiani nei luoghi più diversi del mondo, e l’amore che ho e che abbiamo per i nostri giovani, specialmente i più poveri, mi danno la pace e il coraggio necessari.

Molti confratelli mi hanno domandato come mi sento. La mia risposta è sempre stata questa: molto in pace e molto libero. Questo è ciò che ho sentito in tutto il tempo, durante il Capitolo e durante il discernimento. È quello che ho sentito prima e dopo le elezioni: con pace e libertà perché non ho cercato, né cerco questo servizio. Ero spiritualmente pronto a continuare - perché sento che i sei anni che abbiamo vissuto in precedenza sono stati anni di grazia, non senza difficoltà ovviamente - ma non mi hanno strappato né tolto la speranza e il desiderio di fedeltà personale alla Congregazione. Tuttavia, ero anche pronto a concludere il mio servizio, se quello fosse stato il sentimento dell’Assemblea nel nome del Signore.

Ed è con questa pace e libertà che imprimo in me ciò che è stato detto riguardo alle aspettative sul Rettor Maggiore: cercherò di essere, per quanto possibile, un vero uomo di Dio, con forte identità carismatica e pastorale, lungimirante, capace di uno sguardo di fede e speranza nel leggere la realtà. È mio profondo desiderio continuare ad essere, per quanto possibile, uomo capace di paternità e affetto fraterno, di accompagnamento, vicino ai confratelli.

Penso che metterò molte delle mie energie per essere un uomo capace di costruire unità, di coinvolgere e accompagnare, di creare una visione comune, di mettere insieme le differenze, di costruire comunione intorno a sé, di lavorare in squadra e di delegare.

Infine, rivolgo lo sguardo ai giovani. Loro sono per noi il "sacramento" del nostro incontro con Dio. Costituiscono "il roveto ardente" a cui ci avviciniamo in nome di Dio. Sono il luogo sacro della santificazione che Dio ci ha assegnato in Don Bosco.

La presenza dei giovani nel Capitolo Generale ha lasciato i nostri cuori pieni di emozione a motivo della forza delle loro parole giovanili.

I giovani ci hanno chiesto di stare con loro, di non abbandonarli, di non lasciarli al loro destino. Ci hanno chiesto di volere loro bene, di amarli, poiché ci desiderano e ci amano. Ci hanno chiesto di accompagnarli nel cammino della vita. E ci hanno chiesto di essere uomini capaci di parlare loro dell’amore che Dio ha per loro. Non ci hanno chiesto strutture, o più muri, né programmi di gestione e neanche attività.

I giovani sono stati cofondatori con Don Bosco, ha detto Papa Francesco nel suo messaggio al CG28. Ecco perché loro e il rumore delle loro voci - scrive il Santo Padre - sono e devono essere la nostra musica migliore. Siamo quindi chiamati a permeare la vita di tanti giovani abbandonati, in pericolo, poveri, scartati che aspettano uno sguardo di speranza, che aspettano quel salesiano che sarà fratello, a volte padre e sempre amico.

Non possiamo non essere fedeli avendo davanti ai nostri occhi i bambini, gli adolescenti, i giovani e le loro famiglie. Ci si aspetta da noi una duplice fedeltà: una fedeltà ai giovani e una docilità allo Spirito Santo.

È stato importante vivere il CG28 a Valdocco. Lo stesso Santo Padre ci parla di quella che ha definito “l’opzione Valdocco” e che traduco in sogni che sono già realtà ma che devono esserlo ancora di più, perché sogno come Don Bosco che il salesiano del XXI secolo sia un uomo pieno di speranza, appassionato di Gesù Cristo. Sogno una Famiglia Salesiana con lo spirito di Valdocco come la costruì Don Bosco, che viva per e con ragazzi e giovani, amandoli veramente nel nome del Signore.

Sogno una Famiglia Salesiana in cui i più poveri e abbandonati, gli scartati, gli esclusi, coloro che hanno subito qualsiasi tipo di abuso e violenza siano la priorità, come fece Don Bosco.

Se è così, la Madre Ausiliatrice continuerà a fare tutto in questa Congregazione e in questa Famiglia Salesiana. E a tutti voi, con affetto, ripeto le parole di Papa Francesco: Sognate e sognate in grande. Sognate e fate Sognare.

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