Portogallo – Solidarietà Salesiana: “La cosa migliore di tutte è vedere che possono già sognare e pensare ad un futuro”

25 Giugno 2020

(ANS - Lisbona) - Sabato scorso, 20 giugno, si è celebrata la Giornata Internazionale del Rifugiato. Helena Domingues, psicologa del Servizio SolSal (Solidarietà Salesiana) di Lisbona, racconta la sua esperienza con le famiglie siriane ospitate in Portogallo da “Fundacão Salesianos”.

Nel 2016 ho iniziato quest’avventura di accogliere famiglie di rifugiati. La Fundacão Salesianos, seguendo la Missione del Servizio SolSal accolse alcune famiglie di rifugiati, tutte con bambini e giovani.

Alla luce della Spiritualità e della Pedagogia salesiana, la missione di SolSal è accompagnare e (tras)formare i bambini e i giovani in situazioni di vulnerabilità o a rischio e le loro famiglie, dando loro le competenze necessarie ad una sana vita sociale e aumentando i loro livelli di resilienza nella costruzione della loro storia di vita, per il loro sviluppo integrale e la loro partecipazione civica responsabile e attiva come cristiani e come cittadini.  

La prima famiglia arrivò nel marzo di quell’anno, seguita da altre tre. La difficoltà maggiore era la lingua: loro parlavano solo arabo, che io non conosco. È stato un processo volendo anche divertente, comunicare attraverso il traduttore di Google e i gesti. Con i bambini era più facile, dopo qualche settimana di lezioni, sapevano già parlare il portoghese.

È stato qualcosa di nuovo per noi e per loro, come ci si aspettava, soprattutto nell'accoglienza della prima famiglia. Per cominciare, non ricordavano come fosse vivere in un Paese senza guerra. Erano terrorizzati dagli aerei, dovevano imparare a vedere gli aerei come un mezzo di trasporto di persone e merci, non come una minaccia che può sganciare bombe mentre vola; poter camminare per strada e passeggiare, vedere la polizia o i militari in uniforme senza essere spaventati... Le paure nascono rapidamente, ma mandarle via può richiedere molto tempo. Quando poi le paure si sono placate, è stato molto bello vedere come queste famiglie siano riuscite a fare amicizia, a creare legami con altre persone, a vivere senza paura con altre famiglie portoghesi.

Per chi è abituato a vivere in guerra, pensando sempre a come sopravvivere, non è facile cambiare e vivere in modo diverso. Anche se si potrebbe pensare che cambiare in meglio sia facile, non sempre è così. I brutti ricordi condizionano costantemente il nostro modo di agire, solo con il tempo si possono cambiare le reazioni, e anche dopo anni lontano dalla guerra, una notizia, una telefonata, può rapidamente innescare il modo di agire attivato in tempo di guerra o comunque di grande difficoltà.

Imparare a fidarsi è una conquista, lasciarsi amare dagli altri, avere regole e orari… È necessario imparare tutto di nuovo, o per la prima volta. È necessario convivere con la distanza della famiglia, dei fratelli, dei nonni, dei genitori. Poter creare legami con le famiglie portoghesi è un aiuto: non può sostituire la famiglia che si è lasciata alle spalle, ma arricchisce.

Le differenze culturali possono sembrare degli ostacoli, ma a volte sono proprio ciò che ci unisce: condividere usi, costumi, tradizioni e, soprattutto, la gastronomia, diventa un motivo di convivenza e un elemento facilitatore dell’integrazione. Almeno, questa è stata la mia esperienza personale e ciò che ho osservato nell’interazione delle famiglie di rifugiati con le famiglie portoghesi.

Non tutto è filato liscio, diversi problemi sono sorti lungo il percorso, molti dei quali sorti dalla discrepanza tra le leggi approvate e la loro effettiva messa in pratica. Mi riferisco a quegli appuntamenti cui dovevo andare con le famiglie, che il più delle volte erano una prova per la mia pazienza, tra ritardi e viaggi inutili. Ma ho imparato a gestire meglio la mia frustrazione!

Attualmente le famiglie sono integrate nella società portoghese, ma continuiamo ad accompagnarle perché costruiscano la loro autonomia – alcune più autonome di altre, per le loro caratteristiche.

La cosa migliore è vedere che possono già sognare e pensare a un futuro. Un futuro che è stato brutalmente negato loro nel loro Paese d’origine. Avere partecipato al processo di integrazione di queste famiglie, vederle capaci di ricostruire la propria vita, è stata ed è tuttora un’esperienza unica e indimenticabile. Durante il processo ho avuto la fortuna di essere accompagnato da colleghi fantastici, sempre disponibili nella buona e nella cattiva sorte: ho incontrato persone fantastiche, sia nelle istituzioni collaboratrici, che nei volontari, vicini di casa delle famiglie, in un gran numero di persone eccellenti che non dimenticherò mai. E quanto a quelle persone che hanno lasciato un segnato negativo, spero di dimenticarle in fretta!

Concludo la mia testimonianza con qualcosa che ritengo importante, cioè: credo che dovremmo accogliere coloro quanti cercano un posto sicuro dove vivere, così come vorremmo essere accolti noi, perché non sappiamo mai cosa potrebbe portarci il futuro - ognuno di noi potrebbe diventare un rifugiato! 

InfoANS

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