Francia – Questo silenzio che non è vuoto
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02 Settembre 2020

(ANS – Parigi) – Domare il silenzio, scoprire la meditazione, imparare a pregare... È vitale! Ma come risvegliare nei giovani la ricerca di spiritualità e di senso? Il nostro mondo, pieno di attività, rumore, informazioni e richieste, suscita la paura del vuoto. Internet e gli smartphone cercano di colmare questa paura del nulla. I professionisti dei media lo sanno bene: non ci deve essere nessuno spazio vuoto o il pubblico cambierà canale!

I giovani in fila alla mensa della scuola non riescono a smettere di parlare o in alternativa restano incollati al loro lettore MP3, al cellulare, al loro videogioco tascabile.

Il risultato: non sanno più affrontare se stessi. Il silenzio fa paura perché solleva domande esistenziali: “Perché vivo? Da dove vengo? Dove devo andare?” Abbiamo paura di queste domande perché non ci sono risposte pronte. Ci parlano del senso stesso della nostra vita.

L’interiorità per diventare se stessi

La paura nasce anche dal fatto che oggi, nella nostra società, “l’individuo si valorizza nel superare i propri limiti”, come dice lo psicanalista Jean-Guilhem Xerri. “Ci sentiamo condannati ad avere successo. Non si tratta di raggiungere un obiettivo, ma di essere sempre di più. Ne deriva l’angoscia del fallimento, la paura di non essere all’altezza del compito. Forse - continua Jean-Guilhem Xerri – l’obiettivo fondamentale non è da ricercare nella performance o nel superamento esteriore, ma nella nostra vita interiore”.

I Padri della Chiesa affermano: non si tratta solo di nascere biologicamente per essere umani, è necessario nascere una seconda volta, per così dire, partecipando al mondo dello Spirito, quello dell’Essere, della fonte della vita. “Non si tratta di diventare un altro, ma qualcos’altro; anzi, di diventare se stessi”.

Ma per questo bisogna accondiscendere. Non si tratta di superare se stessi, ma di “attraversarsi”. Da qui il bisogno, per credenti o meno, di vivere un’interiorità. “L’interiorità è un’apertura verso qualcosa che va oltre me stesso, che fa gustare la vita in maniera diversa e contribuisce a nutrire la mia ricerca di senso”.

Vari modi di esprimere il bisogno di interiorità

Il Papa, nella sua esortazione Christus Vivit, parla così dei giovani: “In alcuni giovani riconosciamo un desiderio di Dio, anche se non con tutti i contorni del Dio rivelato. In altri possiamo intravedere un sogno di fraternità, che non è poco. In molti ci può essere un reale desiderio di sviluppare le capacità di cui sono dotati per offrire qualcosa al mondo. In alcuni vediamo una particolare sensibilità artistica, o una ricerca di armonia con la natura. In altri ci può essere forse un grande bisogno di comunicazione. In molti di loro troveremo un profondo desiderio di una vita diversa. Sono autentici punti di partenza, energie interiori che attendono con apertura una parola di stimolo, di luce e di incoraggiamento”. (CV, n° 84)

È a queste energie in attesa, a questa ricerca della luce, che l’educazione all’interiorità cerca di rispondere.

La Parola di Dio, il cammino dell’interiorità

La Parola di Dio fa eco a questa ricerca di senso. Questo è ciò che don Guy Dermond, SDB, ha capito bene quando 40 anni fa iniziò a proporre dei momenti di deserto durante i campi giovanili o nei fine-settimana con i ragazzi. L’idea è sempre stata permettere loro di interiorizzare la Parola di Dio. In ebraico, la parola “deserto” significa: “Il posto della parola”, “cos’è della parola?” o ancora “Chi è la Parola?”

Partendo da un Vangelo e da alcune domande o piccole storie che gettano una luce sul testo, i giovani meditano in silenzio per un’ora, con una musica appropriata di sottofondo, in un ambiente accuratamente preparato per favorire il raccoglimento.

Poi, durante l’ora successiva, possono partecipare ad un laboratorio di espressione sullo stesso tema (disegno, ceramica, linguaggio fotografico, ...), ma questo rimane sempre un tempo di deserto, dove se è necessario si può scambiare qualche parola, ma il silenzio rimane la regola.

Fonte: Don Bosco Aujourd’hui

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