Italia – Borgo Ragazzi Don Bosco: la pandemia e la “sfida” della comunione
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15 Febbraio 2021

(ANS – Roma) – È stato pubblicato pochi giorni fa il nuovo report sulle attività del “Borgo Ragazzi Don Bosco”, l’opera simbolo dei salesiani a Roma, completamente dedicata ai minori più fragili e a rischio. Intitolato “Nessuna casa è lontana”, il documento presenta l’aiuto offerto, nel contesto della pandemia, a 1.045 ragazzi e 389 famiglie. Numeri dietro i quali si celano le storia di Maria e della sua difficile integrazione; di Massimo e del rapporto complicato con la famiglia; di Francesco, che aveva appena trovato il lavoro e l’ha perso durante il lockdown

Dai corsi del Centro di Formazione Professionale all’oratorio, dal centro di accoglienza per minori al sostegno scolastico, dalla semi-residenzialità alla casa-famiglia, sono decine le attività che il “Borgo Ragazzi” rivolge quotidianamente a centinaia di giovani. “Nell’ordinario può capitare che ogni area educativa segua una propria strada – spiega il direttore don Daniele Merlini –. Nell’emergenza, invece, ci siamo sentiti uniti: una comunità di comunità dove nessuno è stato lasciato solo ma tutti hanno condiviso le stesse preoccupazioni, rivolgendo costante l’attenzione ai più fragili”.

Gli operatori in pochi giorni si sono trasformati in esperti informatici “mettendo in campo la propria creatività per andare a cercare i ragazzi attraverso qualsiasi canale”, racconta il sacerdote. Alle tante famiglie dotate solo di un cellulare sono stati donati tablet, pc portatili e connessioni internet per poter svolgere incontri online ma anche trascorrere qualche ora di allegria con mini-tornei di “nomi, cose e città”. La preoccupazione più grande era non abbandonare i giovani, “specie quelli più timidi e introversi con i quali era iniziato un percorso che li stava portando ad aprirsi – precisa Simona Arena, operatrice di 25 anni –. Dopo il lockdown con qualcuno è stato necessario ricominciare tutto dall’inizio”. Come nel caso di Maria, 18enne nata a Roma da genitori di origine asiatica, con i quali ha un rapporto molto conflittuale. Il suo desiderio di occidentalizzarsi, di adottare anche cibi italiani, “si scontra con la volontà della famiglia che vuole mantenere le proprie tradizioni – spiega Simona –. Dopo quattro anni in semi-residenzialità si stava aprendo, stava stringendo amicizie ma poi gli oltre due mesi trascorsi in famiglia l’hanno come resettata”.

In altre circostanze il lavoro più duro degli operatori è stato convincere i ragazzi a uscire di casa quando le restrizioni si sono allentate. Simona ricorda le lunghe ore trascorse sulla piattaforma Zoom a dialogare con Massimo, 17 anni, un rapporto già difficile con la mamma, ora terrorizzata dal contagio. “Ha trasmesso al ragazzo questa fobia – dice l’operatrice –. Abbiamo passato interi pomeriggi a mediare tra i due cercando di riportare un po’ di serenità nel loro rapporto”.

Per altri il coronavirus ha segnato la fine di un percorso lavorativo appena iniziato, accompagnato dall’impossibilità di sostenersi. La prima settimana di gennaio 2020 il Borgo aveva festeggiato la nuova vita di Francesco, 18enne nordafricano, che dopo 4 anni lasciava la casa-famiglia e grazie al corso per pizzaiolo aveva trovato un lavoro e anche una camera in affitto. “In poche settimane ha perso l’impiego – ricorda don Merlini -. Non si è abbattuto perché sapeva che qui avrebbe trovato una famiglia pronta a sostenerlo”. Francesco è tra i 20 ragazzi che gli operatori hanno accompagnato nella ricerca di un nuovo impiego e da qualche settimana ha iniziato a lavorare in un panificio.

Il “Borgo Ragazzi” in questi mesi ha sostenuto con pacchi alimentari e contributi in denaro 1.045 ragazzi e 389 famiglie, grazie “ad uno straordinario concorso di generosità – aggiunge il Direttore –. La cosa meravigliosa è che le donazioni si sono più che triplicate mentre il numero dei donatori è rimasto quasi invariato. Questo significa che si è subito percepito la gravità di quello che stava accadendo”.

Esattamente come l’affetto che percepiscono gli oltre 1.500 ragazzi che ogni anno frequentano l’oratorio, i corsi di formazione professionale o sono seguiti dall’area “Rimettere le Ali”. “In questi mesi – riferisce il sacerdote – tanti ragazzi che hanno frequentato il borgo negli anni scorsi si sono proposti come volontari o hanno fatto donazioni in denaro”. Molti giovani con disagi conclamati e famiglie in grave difficoltà hanno fame di affetti autentici e la mission degli operatori, spiega Simona, “è quello di far comprendere loro cosa sia una comunità, cosa significhi vivere in armonia”.

Don Merlini, tuttavia, non nasconde la preoccupazione “per il pesante contraccolpo educativo che avrà la pandemia. I ragazzi non sono spensierati e lo stress che oggi respirano in famiglia avrà delle ripercussioni”.

Roberta Pumpo

Fonte: RomaSette

InfoANS

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