RMG – Il Consiglio Generale e Don Bosco: voci e testimonianze in prima persona. La parola a don Pérez Godoy

12 Agosto 2022

(ANS – Roma) – Quando mancano appena 4 giorni alla celebrazione del 207° compleanno del Padre e Maestro della Gioventù, è il Consigliere per la Regione Mediterranea a parlare del suo rapporto personale con Don Bosco. Ecco cosa ci racconta.

Chi è Don Bosco per lei?

Il Padre e Maestro dei giovani; il santo dell’ottimismo, della gioia e della festa; l’uomo di Dio che viveva come se vedesse l’invisibile; il sacerdote impegnato con i suoi giovani fino all’ultimo respiro; l’educatore dal cuore appassionato e acceso dal fuoco della carità pastorale... Il nostro Modello, come dice l’articolo 21 delle nostre Costituzioni.

Come l’ha conosciuto?

Sono nata a Burguillos, vicino Siviglia, e sono il maggiore di sei figli. Una famiglia semplice, felice e affiatata. I miei genitori ci hanno insegnato ad aiutare gli altri, ci hanno trasmesso i valori cristiani e l’amore alla Vergine del Rosario. Nel 1970 entrai dai Salesiani a Utrera. Dovetti sostenere un esame per ottenere una borsa di studio e provvidenzialmente lo superai. Sarò sempre molto grato ai miei insegnanti d’infanzia di Burguillos. All’epoca era praticamente l’unica possibilità di studiare, e se non fosse stato per la borsa di studio non sarei mai potuto andare a Utrera. Anche con la borsa di studio, i miei genitori hanno dovuto superare molte difficoltà economiche, ma scelsero i Salesiani di Utrera rispetto a qualsiasi altra opzione, perché credevano che fosse la migliore per me. È così che ho conosciuto Don Bosco e Maria Ausiliatrice.

Perché ha deciso di farsi salesiano?

Nel profondo, perché credevo che questo fosse e sia il progetto di Dio per me. Avvertii alcuni segnali: appena coltivi un po’ la vita cristiana e ti lasci interpellare da Gesù, senti un’inquietudine interiore a fare qualcosa di più per gli altri, ti senti attratto o almeno interessato a quella vita, scopri chi è Don Bosco e te ne senti affascinato… Così sono sorti in me la domanda e il desiderio. Ho capito che la cosa fondamentale di una vocazione non è “ragionarci su”, ma “accettarla e realizzarla”; e che Dio non vuole “superuomini”. In breve, è una grazia alla quale continuo a cercare di rispondere ogni giorno.

Qual è stato il suo percorso vocazionale?

Avevo 10 anni quando arrivai a Utrera e vi ho trascorso sette anni nel convitto. La prima cosa che mi ha attratto sono stati i Salesiani. Li vedevo diversi, erano religiosi speciali, allegri, vicini, si preoccupavano per noi, giocavano con noi e allo stesso tempo erano esigenti. In seguito, ho conosciuto la vita di Don Bosco e ho cominciato a capire perché i salesiani erano così. Quando ero bambino mi colpivano tanti aneddoti e imprese, i miracoli... Poi ho cominciato a capire un po’ di più la sua spiritualità, che era molto semplice, la sua opera diffusa in tutto il mondo, ma soprattutto il suo senso della festa e della gioia: ci dicevano che la santità consiste nello stare sempre allegri. Quando è arrivato il momento di decidere del mio futuro, ho sentito dentro di me l’inquietudine della chiamata ad essere salesiano. Durante un ritiro, mi sono imbattuto in questa frase: “La felicità di molti dipende dal tuo sì o dal tuo no”. E ho deciso di dire SÌ al Signore. È così che ho iniziato il mio pre-noviziato e sono andato avanti fino ad oggi.

C’è stata qualche persona che è stata un nuovo “Don Bosco” per lei?

Ho avuto la fortuna di incontrare lungo il mio cammino tante persone che mi hanno aiutato a discernere, che mi hanno incoraggiato e sostenuto. Nel mio anno di noviziato e poi sempre come punto di riferimento spirituale, c’è stato il mio maestro dei novizi, Paco Alegría. Poi, negli anni del post-noviziato, Paco Vázquez, che mi ha aiutato ad accendere nel mio cuore la passione pastorale per i giovani e che quando venni nominato, molto giovane, Delegato di Pastorale Giovanile mi aprì un orizzonte salesiano insospettato e arricchente. Nel biennio, Alonso Vázquez: non ho mai incontrato un salesiano con un cuore così immenso e con più “intelligenza pastorale” di lui, il prototipo del cuore oratoriano. Durante gli anni di Teologia, Antonio Calero mi ha aiutato a formare il mio cuore sacerdotale di buon pastore e mi ha insegnato che è importante essere intellettualmente e teologicamente qualificati per poter rispondere alle sfide dei giovani. Sarò sempre grato, poi, a Luis Fernando Álvarez, che mi ha insegnato a celebrare la Messa; a José Antonio Rodríguez Bejerano, un colossale missionario che considero un vero santo; al mio caro amico dell’anima e giovane sacerdote che è stato presto portato in Cielo, Manolo G. Parra, un turbine apostolico con una straordinaria capacità di attrarre i giovani.

Quali sono le caratteristiche di Don Bosco che più ammira?

Sono tante, perché Don Bosco ha una personalità travolgente e ricca di sfumature. Personalmente, ammiro la sua capacità di amore personale, anche piena di tenerezza, per ogni giovane; la sua capacità di coniugare realismo e magnanimità; il suo coraggio di sognare; il suo riconoscimento grato a Dio che ha accompagnato e guidato i suoi passi; il suo sguardo di fede che lo ha portato a vivere “come se vedesse l’Invisibile”. La straordinaria e armoniosa unità della sua esistenza nella sintesi vitale del “segno dell’amore di Dio per i giovani”.

Secondo lei, i giovani possono ancora trovare ispirazione in Don Bosco?

Assolutamente sì. Don Bosco continua ad essere una figura che affascina tanti giovani e continua a catturare i loro cuori. Ho appena finito di vivere l’esperienza del Campobosco con circa 800 giovani provenienti da Spagna e Portogallo che hanno visitato i luoghi di Don Bosco e Madre Mazzarello. Contemplare i loro volti quando visitano questi luoghi e gli viene spiegato cosa ha vissuto Don Bosco è un’esperienza che conferma il fascino che continua a suscitare in tanti giovani che si sentono attratti da lui; giovani di questo tempo, di questa cultura, con gli interessi e i tratti di questo tempo, che sono capaci di mettersi in relazione con lui e di lasciarsi interpellare da lui.

In che modo i salesiani possono essere nuovi Don Bosco per i giovani?

Sono convinto che ci sia un solo modo: essere sempre in mezzo a loro, con uno sguardo profondo di fede. Quello che il Rettor Maggiore chiama “il sacramento salesiano della presenza”. Certo, le circostanze che accompagnano ogni momento della nostra vita rendono diversa la modalità di presenza, ma è sempre presenza. Quando non siamo con loro, quando loro non occupano il centro del nostro cuore, della nostra mente, della nostra attenzione... allora il nostro cuore smette di battere come salesiani e la nostra vocazione s’infiacchisce. Meditare ogni giorno, o almeno frequentemente, sull’articolo 21 delle nostre Costituzioni, “Don Bosco, nostro modello”, ci aiuterà molto.

E in che modo Don Bosco ispira il suo lavoro di Consigliere Regionale?

In questo momento della mia vita salesiana, due cose di Don Bosco ispirano i miei atteggiamenti nello svolgimento del mio servizio, anche se non sempre le realizzo; una è il senso di paternità che Don Bosco ha vissuto con tanta profondità e concretezza; l’altra è l’apertura degli orizzonti, dal punto di vista sia culturale, sia carismatico, per poter guardare oltre la nostra realtà e superare i nostri confini.

Se potesse incontrare Don Bosco, cosa vorrebbe dirgli o chiedergli?

Gli direi che ancora oggi ci sono tanti giovani che non sono felici e gli chiederei un cuore grande come il suo e una saggezza e intelligenza pastorale come le sue per poter aiutare tanti giovani di oggi che sono smarriti ed esclusi dalla vera e autentica felicità.

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