Repubblica Democratica del Congo – Storia di Mamma Teresa

06 Dicembre 2017

(ANS – Bukavu) – Alla porta del Centro Don Bosco di Bukavu vanno a bussare tutti i tipi di persone bisognose. Si è sparsa la voce che “là aiutano”. Non sempre i Salesiani possono soddisfare le richieste e tendenzialmente provano a coinvolgere le comunità cristiana o parrocchiale di provenienza. Ma ci sono situazioni in cui una persona sembra avere bisogno di un aiuto urgente e tutto sommato della misura giusta per le possibilità salesiane. Si verifica allora che la necessità sia reale e si fa di tutto per aiutare. Cosi è stato fatto con “Mamma Teresa”.

“Quando Mamma Teresa, una rifugiata ruandese, è venuta a presentare il suo problema, ho chiesto a Lydie, la Salesiana Cooperatrice che si occupa dei bambini del villaggio di Miti, di andare a verificare, dato che vive nello stesso quartiere di Mamma Teresa. Lydie è andata, ha visto, e mi ha fatto un resoconto della situazione” racconta don Piero Gavioli, da 33 anni missionario in Repubblica Democratica del Congo.

Teresa, che non è mai stata a scuola, è nata in Burundi da padre congolese e madre ruandese. A 6 anni perde il padre e incomincia a lavorare in campagna. A 14 anni viene convinta da una signora ruandese a fare un viaggio a Bukavu, ufficialmente per una visita. Ma lì viene consegnata ad un uomo congolese che la costringe con la forza ad essere sua moglie.

Sua suocera ha pietà di lei e l’aiuta a resistere nella sua casa, perché il marito è un uomo violento. Hanno avuto 9 figli, di cui 3 morti in tenera età. Nel 2007, inoltre, il marito l’abbandona, lasciandola con 6 figli. Per sopravvivere, Mamma Teresa si è dovuta arrangiare e incominciare una piccola attività commerciale. In seguito ad una malattia, il suo piccolo capitale è andato perso, e come altre donne ha iniziato a portare sacchi di sabbia sulla schiena per la costruzione di case (a Bukavu, moltissime case sono costruite su pendii ripidi, per accedervi non ci sono strade carrozzabili, ma solo sentieri stretti e se si vuole costruire qualcosa è necessario portare cemento, sabbia e persino l’acqua a dorso d’uomo - o piuttosto di donna).

Mamma Teresa ha fatto questo lavoro per qualche anno, poi si è ammalata e quindi non è stata più in grado di lavorare, di pagare l’affitto di casa e le tasse scolastiche per i suoi figli. I tre ragazzi più grandi sono partiti in cerca del padre. Mamma Teresa è rimasta con due ragazze, Marcelline di 12 anni e Jeanne di 10, e con un bambino disabile di 8 anni, ammalato pure lui.

“Quando è venuta a chiedere aiuto perché non aveva più la forza di trasportare la sabbia, passava la notte in una piccola baracca aperta, vicino al porto, dove durante il giorno delle donne commercianti vendevano l’alcol indigeno – racconta don Gavioli –. Le sue due figlie, che avevano appena finito le elementari, erano diventate Maji-Muhogo (acqua-manioca): bambine che raccolgono bottiglie di plastica e le riempiono con acqua di rubinetto, le portano alle donne che vendono al mercato e ricevendo in cambio alcuni pezzi di manioca arrostita o 50 o 100 franchi congolesi, meno di 10 centesimi di Euro, che per loro è sempre meglio di niente”.

Non potendo accogliere la famiglia presso il centro salesiano, a causa della mancanza di spazio, don Gavioli si è mosso per aiutare Mamma Teresa a riprendere in mano la sua vita e quella dei suoi figli. Ciò ha significato aiutarli ad affittare una camera, mettervi due materassi, far curare la mamma e il figlio disabile, darle una piccola somma perché potesse iniziare a vendere fagioli e cercare una scuola per le due ragazze.

La direttrice del “Centro Nyota” ha accettato di iscriverle al primo anno di taglio e cucito, nonostante il corso fosse iniziato già da due mesi e la differenza d’età. Le due ragazze – le più piccole della loro classe – sono state promosse agli esami del 1° semestre, e Marcelline si è dimostrata una delle migliori.

Un altro futuro è ancora possibile per Mamma Teresa e la sua famiglia.

InfoANS

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