Italia – CG28: alla riscoperta del “Vangelo di Don Bosco”

27 Febbraio 2020

(ANS – Torino) – “Se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto”. L’antico proverbio si è realizzato all’inizio della giornata di ieri, mercoledì 26 febbraio. Poiché il previsto pellegrinaggio dei capitolari a Chieri e al Colle Don Bosco non si è potuto effettuare per disposizioni di salute pubblica, il Direttore di Chieri, don Eligio Caprioglio, è approdato nell’aula magna del Capitolo e ha presentato un vivo ritratto della città che ha accolto l’adolescente Giovanni Bosco. Lo ha fatto con entusiasmo, un bel video realizzato con i giovani, tanti oggetti ricordo lasciati ai Capitolari e vera commozione.

La giornata di ritiro per il mercoledì delle Ceneri, è poi stata aperta da una toccante e lucida meditazione di Don Pascual Chávez sulla “Lettera da Roma” di Don Bosco. “La lettera di Roma è il ‘Vangelo di Don Bosco’, respira l’aria degli inizi, che continuano ad essere ‘normativi’ e non semplicemente ‘aneddotici’, ed invita alla conversione spirituale (a Dio), pastorale (ai giovani), strutturale (rendendo più evangelizzatrici le nostre presenze sì da portare i giovani a Cristo e alla Chiesa)”.

È qui che troviamo quella splendida frase di Don Bosco: “Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati”.

“È, certamente, il significato più trasparente della lettera, enunciazione del grande principio che potremmo chiamare la ‘visibilità dell’amore’” suggerisce Don Chávez. Nei testi del Nuovo Testamento l’amore è associato alla luce, come irradiazione della Luce stessa che è Dio.

E l’amore che i salesiani dimostrano per i giovani si potrebbe paragonare ad una piccola Trasfigurazione.

Occorre dunque verificare, imparare, inventare i linguaggi dell’amore, di cui il salesiano deve essere un appassionato cultore, nel senso che don Bosco dava a questa parola: “preoccupazione, impegno, passione”.

“Oggi, è questa – continua Don Chávez – la fondamentale sfida dell’educatore: far capire che ama davvero, che ama per sempre, che ama tutto di quell’umano che gli appare innanzi e che si palesa e si modifica con l’andar del tempo; dimostrare che ama anche a fronte del rifiuto, della dimenticanza, della distorsione o dell’utilizzo profittatore; e convincere così all’amore, ossia far nascere l’interiore convinzione che si è degni di amore, e, ancor più, che si è capaci di amore (ed è la percezione del proprio inalienabile valore, è il fondamento della propria dignità, è la radice di ogni autentica speranza); e far intuire (ma questo è anche grazia) che esiste una Sorgente, che è per me e per te, sempre aperta e disponibile, mai esauribile nella sua inesausta ricchezza”.

La genialità pedagogica di Don Bosco si esprime nell’altra straordinaria frase: “Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a vedere l’amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco; quali la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi e queste cose imparino a far con amore”.

“C’è dunque un elemento di razionalità che deve intervenire, ossia un bisogno di conoscenza che deve prendere e guidare l’educatore salesiano: ed è conoscere i giovani, comprendere le situazioni, le domande, le esigenze per sapervi far fronte”.

L’amore diventa, nelle due direzioni: incontro, fiducia, operosa collaborazione cordiale e soprattutto la gioia e la felicità di “star bene insieme”.

E per Don Bosco la felicità è una via privilegiata per la evangelizzazione (“vedervi felici nel tempo e nell’eternità”) e una strada che apre a Dio.

Foto su ANSFlickr

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