Perù – Don Diego Clavijo: “È necessario raggiungere l’essenza dell’anima indigena e rivitalizzare la vita del popolo con i valori del Vangelo”

08 Aprile 2019

(ANS – Yurimaguas) – La ricerca di nuove vie per la Chiesa – uno degli obiettivi del Sinodo per la regione Panamazzonica – deve condurre ad addentrarsi nelle esperienze della Chiesa nella regione. Don Luis (Luigi) Bolla cercò di costruire una Chiesa ministeriale, di incarnazione del Vangelo tra gli indigeni Achuar del Perù e dell’Ecuador. Dopo la sua morte, un altro Figlio spirituale di Don Bosco, don Diego Clavijo, sta dando continuità a quell’opera. Nato in Ecuador, il salesiano è missionario in Perù da 18 anni ed è tra coloro che hanno iniziato la presenza salesiana nell’Amazzonia peruviana, nel 2001, insieme a don Bolla.

Come si concretizza la Chiesa ministeriale tra gli Achuar, quali sono le difficoltà e quali progressi sono stati fatti in questi anni di lavoro?

Penso che la cosa fondamentale è che il messaggio del Vangelo viene trasmesso nella loro lingua, con le sue forme e le sue espressioni. È un lavoro iniziato da don Bolla, che è stato il missionario che ha reso più sistematico e costante il processo di presenza interna al gruppo; è riuscito a far sì che quel messaggio potesse entrare ed essere seminato nel cuore delle famiglie, dei giovani e dei bambini achuar.

In che misura è importante per il popolo achuar che il missionario che viene dall’esterno parli quella lingua e cerchi di relazionarsi con loro nella loro lingua?

Lo spagnolo per loro è davvero qualcosa di molto lontano, fuori portata. La loro lingua madre è quella che usano abitualmente, l’uno per cento sono gli insegnanti, che parlano un po’ di spagnolo e niente più. I missionari che sono venuti dall’Europa nelle nostre terre americane hanno dovuto imparare lo spagnolo per annunciare il Vangelo. Per gli Achuar è fondamentale che si predichi nella loro lingua, ora che hanno il Nuovo Testamento tradotto, e dicono: “Ora sì che capiamo, ora comprendiamo il messaggio più profondamente, ora possiamo condividere, possiamo andare molto più a fondo in quello stesso messaggio”.

In vista del Sinodo sulla regione Panamazzonica, in che modo quest’esperienza del mondo achuar potrebbe illuminare nuovi cammini tra altri popoli amazzonici?

Credo sia importante il fatto che, come Chiesa, non si cerchi di allargarsi troppo, ma semplicemente di prendere un popolo e impegnarsi profondamente con quel popolo. Quest’impegno sta portando a che il missionario e la Chiesa indigena, che in questo caso è sorta, possa raggiungere realmente l’essenza dell’anima indigena e rivitalizzare la vita di questo popolo con i valori del Vangelo. Se riuscissimo ad ottenere una riorganizzare tra altri popoli indigeni, riorganizzazione di territori e di popoli, che non siano suddivisi in parrocchie, giurisdizioni ecclesiali o politiche, ma che comprendano tutto il popolo, allora credo che questa esperienza sarebbe di grande aiuto.

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