Cambogia – Dalla Colombia alla Cambogia, con Don Bosco nel cuore

02 Novembre 2020

(ANS – Sihanoukville) – Don Albeiro Rodas è un missionario salesiano colombiano, originario di Medellín, ma che da 21 anni vive e opera in Cambogia, a Sihanoukville. Attualmente è Delegato per la Comunicazione Sociale nella Delegazione della Cambogia e oggi ci parla del suo percorso missionario.

Com’è nata la tua vocazione missionaria?

Ritengo sia legata a tre elementi: la mia ricerca spirituale, la mia appartenenza ai Boyscout, e la mia vocazione alla comunicazione sociale. La ricerca spirituale è nata in famiglia: con un papà professore di filosofia e una mamma molto devota, pur essendo una famiglia povera avevamo sempre tanti libri per casa, che hanno avuto un forte impatto su di me.

Il Movimento dei Boyscout e le storie del suo fondatore, Baden Powell, mi aprirono gli orizzonti.

Poi, quando sono andato all’università, a studiare comunicazione sociale e giornalismo e ho conosciuto Don Bosco, che ha catalizzato tutte quelle esperienze e quei sogni nell’andare oltre, offrendomi per una missione dove Dio poteva avere bisogno di me.

Come sei finito in Cambogia, dall’America Latina?

La mia prima scelta è sempre stata l’Asia, è una realtà a cui mi sono sempre sentito connesso. Sarà perché come Latinoamericani discendiamo per la maggior parte dalle popolazioni ancestrali dell’Asia che attraversarono lo Stretto di Bering e popolarono Nord e Sudamerica… L’Asia mi ha sempre affascinato.

Mi sento vicino ai popoli asiatici e cerco di scoprire le tracce che ci uniscono. Anche molti dei nostri drammi sociali, delle nostre culture, dei nostri modi di pensare tra regioni così lontane come il Sudamerica e il Sudest asiatico sono comuni. Quando visiti i templi di Angkor in Cambogia, puoi subito pensare ai templi Maya in Messico e America Centrale.

Com’è stato il passaggio da un Paese molto cattolico ad uno a larga maggioranza buddista?

Il cattolicesimo in Colombia e in America Latina è molto ricco di espressioni, scuole, dottrine, teologie. Essendo cresciuto in una zona povera di Medellín, e avendo frequentato la Chiesa, ho conosciuto la Teologia della Liberazione, negli anni ‘70 e ‘80. San Giovanni Paolo II ha fatto diverse correzioni, ma la convinzione che Gesù Cristo è con il popolo, tra i poveri, è sempre nel mio cuore. Quando sono venuto in Cambogia nel 1999, ho visto tanta povertà e tutte quelle omelie della mia adolescenza, tutte quelle iniziative a favore dei più poveri e che predicavano agli emarginati l’amore di Dio, si sono accese in me per la gente della Cambogia. E da cattolico, in questa società buddista, ricordo sempre che Gesù ama molto i poveri e dà la sua vita per loro, indipendentemente dalla loro religione, razza, lingua o idee.

E cosa hai imparato dai cambogiani, soprattutto dai giovani?

Il popolo cambogiano è molto semplice. Vive pienamente il momento presente, accetta qualsiasi cosa, soprattutto se si sente in comunità, con gli altri. Qui si scopre quanto sia complicata la vita occidentale, con tanti condizionamenti, dipendenze e dove tutto va di fretta. I cambogiani non hanno mai fretta. Sono esperti nel discernimento, nella meditazione, prendono decisioni con il tempo, sanno aspettare. Questo atteggiamento l’ho visto nella maggior parte dei cambogiani. Oggi vedo alcuni cambogiani che cercano di assomigliare agli occidentali, ma si riconosce la loro mancanza di autenticità.

Per quanto riguarda i giovani, da quando sono arrivato 21 anni fa, ad oggi, ho visto molti cambiamenti. Posso descrivere come sono cambiati gli interessi e le preoccupazioni dei giovani cambogiani in questi ultimi due decenni. Quando sono arrivato, avevano fretta di sopravvivere. Oggi, vedo la fretta di ottenere denaro ad ogni costo e questo mi preoccupa.

Ma i giovani cambogiani, con quella semplicità di cuore, sono intelligenti. Possono imparare le lingue molto facilmente. Sono ottimi osservatori delle culture, delle tradizioni, capiscono i simboli e osservano il mondo con grande attenzione. Quando sono venuto per la prima volta, la Colombia era qualcosa di sconosciuto per loro. Oggi hanno più informazioni, ed è un bene. Credo di aver imparato dai cambogiani il loro modo di essere semplici, di osservare e di apprezzare il tempo presente.

Qual è il tuo contributo specifico nella comunicazione sociale?

Prima di entrare nella Congregazione Salesiana avevo completato gli studi in comunicazione sociale e giornalismo. Durante la formazione ho diretto una rivista conosciuta come Primavere Mundo Joven delle suore salesiane di Medellin. È stata la piattaforma che mi ha fatto conoscere Don Bosco. Sentivo che le mie inquietudini vocazionali erano attratte da questo sacerdote italiano che apprezzava molto la comunicazione della spiritualità di Dio ai giovani. E, in aggiunta, San Francesco di Sales era il patrono dei giornalisti cattolici: era come se tutto fosse collegato, per me.

Nel 2007 ho presentato ai miei superiori in Cambogia la proposta di aprire una scuola di comunicazione sociale a Sihanoukville. La mia proposta è stata accolta ed è divenuta la mia grande missione: avevo degli studenti delle realtà rurali che studiavano comunicazione sociale e giornalismo, ed è stato l’inizio di una grande avventura.

Il mio sogno è quello di poter attrarre più giovani verso la Fede cattolica e di promuovere più vocazioni salesiane cambogiane. Sono molto felice di condividere i nostri progetti salesiani con i giovani buddisti, musulmani e animisti, ma penso che sia anche importante avere un’équipe di giovani che condividano la sequela del Signore. Ci vuole tempo, ma ripongo la fede nel Signore, che alla fine è Colui che chiama al suo seguito.

Da parte mia voglio contribuire alla produzione letteraria e filmica salesiana in lingua khmer. Ora stiamo lavorando con il Bollettino Salesiano cambogiano per produrre un film sulla vita di Don Bosco, non solo in lingua khmer, ma con i Cambogiani e in un contesto cambogiano.

Fonte: AustraLasia

InfoANS

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