Italia – Don Antonio Palmese, un professore impegnato nel sociale

05 Novembre 2018

(ANS – Napoli) – Don Antonio Palmese, Salesiano di Don Bosco, insegna da molti anni Teologia Pastorale e Pedagogia e presta il suo servizio in diverse università di tutta la penisola italiana. Al tempo stesso è molto impegnato nel sociale, come vicario episcopale per il settore della “Carità e Giustizia” della diocesi di Napoli e in qualità di Presidente della “Fondazione Polis”, per i familiari delle vittime innocenti della criminalità e beni confiscati alla camorra.

di Mimmo Sica

“Nasco da due santi genitori, mio padre operaio agli ex Bacini e Scali Napoletani, ora Cantieri del Mediterraneo, e mia madre casalinga e fine ricamatrice – racconta –. A papà fu assegnata una casa popolare a Ponticelli e ci trasferimmo lì. Era una villetta con un giardinetto. A quei tempi il quartiere era affollato di persone che al mattino, quando si svegliavano, avevano una sola intenzione: andare a lavorare per sostenere la famiglia e far sì che i propri figli diventassero delle persone esperte e qualificate e non si limitassero a essere semplicemente operai.

Quando incontrò la Famiglia Salesiana?

All’età di 12-13 anni conobbi i salesiani di Portici attraverso delle amicizie legate a mio padre, e per più di due o tre anni da Ponticelli andavo a Portici, all’oratorio, e la sera i miei genitori venivano a prendermi. Un giorno mio padre decise che era più conveniente trasferirci a Bellavista e andammo ad abitare proprio di fronte alla casa dei Salesiani.

Quando ha avvertito la vocazione?

Oggi a distanza di anni riesco a capire che sono stati almeno due i fatti che hanno dato “il la” per avvertire la vocazione e che nel suo discernimento non c’è nessuna causa “paranormale”, ma al contrario si incarna in situazioni così normali che potrebbero addirittura apparire banali, ma non lo sono.

Quali sono stati questi due “segnali”?

Il primo sicuramente è l’educazione affettiva e “politica” che ho ricevuto dalla mia famiglia, improntata sempre all’attenzione verso gli altri e non solo verso se stessi. A casa i gesti di solidarietà dentro e fuori dell’esperienza ecclesiale erano molto frequenti. Soprattutto da parte di mio padre che veniva dal mondo del partito comunista e da quello sindacale. A Ponticelli convivevano due “chiese” che viaggiavano parallelamente: la Chiesa Cattolica e il partito comunista. Non si scontravano mai. Ciascuna aveva il suo catechismo, culto, liturgia….

Il secondo?                

È stato quello più simpatico ed empatico. Ricordo che la prima volta che ho pensato seriamente all’ipotesi vocazionale è stata la sera del giorno in cui il parroco dei Salesiani, nel pomeriggio, mi aveva convocato per rimproverarmi e mettermi fuori dall’oratorio per una settimana come lezione punitiva.

E cosa aveva fatto?

Due cose che non riteneva corrette. Gli avevo detto una bugia, e cioè che insieme ad alcuni compagni di oratorio ci riunivamo per leggere il Vangelo e invece lo facevamo per approfondire “Rinascita”, la rivista del partito comunista. Poi perché scavalcavamo la rete che separava l’oratorio maschile da quello femminile per andare a giocare con le ragazze. Era ancora il tempo degli oratori maschili e femminili. Subito dopo si sarebbero organizzati i cosiddetti gruppi misti. Mi sospese con una fine strategia, perché aveva concordato la punizione con i miei genitori.

Come reagì alla punizione?

In maniera spavalda, irriverente e canzonatoria gli dissi: “cacci proprio me che voglio farmi prete”. Ma rientrando a casa ripensai seriamente a quelle parole e mi accorsi che c’erano gli elementi per cominciare a riflettere sull’ipotesi di diventare prete. Avevo quasi 18 anni. Dopo circa due anni entrai nel noviziato dei Salesiani a Lanuvio in provincia di Roma.

Perché proprio i Salesiani?

Mi affascinava il loro modo di vivere che è fondamentalmente educativo e ne condividevo lo stile gioioso e autentico. La nostra vocazione chiede di essere intimamente solidali con il mondo e con la sua storia, di essere aperti alle culture dei Paesi in cui lavoriamo, di comprenderle e di accoglierne i valori. La nostra azione deve essere orientata soprattutto verso la “gioventù povera, abbandonata, pericolante” e verso gli ambienti popolari che hanno maggior bisogno di essere amati ed evangelizzati.

Quando è diventato sacerdote?

Sono diventato prete dopo circa dieci anni dal noviziato. Il mio è stato un percorso particolare perché fino a un anno prima accompagnavo frequentemente papà a Parigi per curarsi da una malattia che lo portò prematuramente alla morte. Poi sono rimasto a Napoli, accanto a mia madre perché sono figlio unico.

Che ruoli svolge per la diocesi di Napoli?

Coordino i settori che attengono alla carità della Chiesa di Napoli. Cioè la Pastorale carceraria, la Pastorale della salute, gli immigrati, la Caritas e la casa di Tonia che accoglie ragazze madri e sostiene la nascita e la crescita dei loro bambini. Ciascuno di questi settori è retto da amici sacerdoti di grandi capacità.

Come si è avvicinato alla Fondazione Polis?

Ci sono incontri che condizionano fortemente la propria vita nel bene come nel male. La provvidenza di Dio mi ha fatto conoscere prima Rita Borsellino e poi Don Ciotti. Li ho incontrati nella tragica stagione delle stragi di Palermo e in modo particolare di quella via D’Amelio. Don Ciotti ebbe l’intuizione di iniziare un percorso anche associazionistico contro le mafie e fondò Libera. Per 15 anni sono stato il suo referente in Campania. Polis trae le sue origini da questa cultura associativa. Ha la sua stessa mission e tiene conto anche delle vittime della criminalità comune. L’acronimo sta per “Politiche Integrali di Sicurezza per le vittime innocenti della criminalità e beni confiscati”.

Secondo lei, cosa deve fare oggi la Chiesa?

La sua pastorale oggi è quella di essere una realtà che ci aiuta a diventare sempre più comunità perché “ogni uomo è mio fratello”. Ha detto bene Luciano De Crescenzo in Così parlò Bellavista quando ha affermato che gli uomini sono come gli angeli che hanno un’ala sola. Per volare si devono abbracciare l’uno con l’altro.

Fonte: Il Roma

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