Ecuador – Don Jaime Chela: “Come Chiesa dobbiamo accompagnare i nostri fratelli indigeni”

15 Ottobre 2019

(ANS – Quito) – Nelle Costituzioni Salesiane è specificato che l’opzione di ogni religioso salesiano è quella di stare con i più poveri. Così ha fatto don Jaime Chela con le popolazioni indigene, che ha avuto modo di conoscere da vicino quando ha prestato il suo servizio pastorale, per diversi anni, nelle missioni salesiane in alta quota. Il suo lavoro è stato quello di accompagnarli e dare loro un messaggio di incoraggiamento, secondo quanto dice il Vangelo, in questa crisi sociale e politica che il Paese sta vivendo.

Don Chela attualmente è Segretario ispettoriale e Direttore Tecnico della Pastorale dell’Università Politecnica Salesiana (UPS). Insieme alle autorità e agli studenti dell’università, ha collaborato a tutte le attività per offrire accoglienza a migliaia di indigeni che nei giorni scorsi hanno trovato accoglienza nell’opera salesiana.

A partire dalla tua vocazione salesiana, avevi pensato di trovarti immerso in questi momenti difficili?

La verità è che questo non era previsto; ma data la situazione e l’arrivo dei nostri fratelli indigeni all’università, non potevamo restare indifferenti. Fin dall’inizio, abbiamo cercato di stare con loro in modo che sentissero il nostro sostegno, come noi salesiani abbiamo fatto nelle loro comunità.

Qual è stata la tua esperienza in questo modo di fare pastorale?

È stata una situazione complessa dal punto di vista dell’organizzazione logistica: accoglienza, raccolta del cibo, preparazione, distribuzione... In tutto questo, l’azione dei ragazzi della FEUPS (Federazione degli Studenti dell’Università Politecnica Salesiana) è stata fondamentale, hanno risposto al 100%. D’altra parte, è un’esperienza molto bella poter stare tra loro e capire la loro situazione.

Cosa ha provato nel presiedere un’Eucaristia con tanta gente dopo la morte di un fratello indigeno?

Mi sono indignato per l’indifferenza dei grandi media, perché non hanno fatto conoscere tutta la realtà e la violenza che si stava vivendo. Come religioso ho cercato di rispondere a ciò che stava succedendo, per far sentire agli indigeni che la Chiesa era con loro. Ho anche sentito l’indifferenza del governo per questa mancanza di ascolto, per questa mancanza di dialogo, per aver creduto che si trattasse solo della popolazione indigena e non di tutti gli ecuadoriani, quando le misure riguardano tutti.

Cosa direbbe ad un giovane salesiano che domani potrebbe trovarsi di fronte ad una situazione come questa?

È importante che noi Salesiani siamo immersi nelle realtà sociali e culturali vissute dai nostri fratelli e sorelle indigeni, e che restiamo sempre abbastanza vicini a loro da sapere come accompagnarli. In questo senso dobbiamo camminare con loro, come ci dice Papa Francesco, per non rimanere indifferenti ai problemi dei poveri.

Qual è stato il momento più felice di questa crisi?

È stato quando il governo ha accettato di dialogare. Ma ora bisogna mantenere la calma…

Marcelo Mejía

InfoANS

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