Marocco – Card. López Romero, SDB: “Le migrazioni non sono un problema, ma la conseguenza di molti problemi”

30 Dicembre 2019

(ANS – Rabat) – Dal 19 al 23 febbraio 2020 si svolgerà a Bari l’incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Conferenza episcopale italiana, su iniziativa del presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti. Parteciperanno poco più di cinquanta vescovi in rappresentanza delle Conferenze episcopali dei 19 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e sarà presente, tra gli altri il cardinale Cristóbal López Romero, salesiano, 67enne, arcivescovo di Rabat, capitale del Marocco.

Nell’invito all’incontro è stato chiesto ai vescovi di indicare quali problemi reputano più importanti e urgenti. Lei quali ha indicato?

A mio giudizio la più importante questione extra-ecclesiale sulla quale occorre lavorare insieme è il fenomeno delle migrazioni. Tempo fa avevo pensato di organizzare una riunione tra i vescovi dei Paesi africani da cui partono i migranti e i vescovi dei Paesi europei nei quali i migranti approdano. L’incontro si è tenuto alcune settimane fa: purtroppo, però, ha partecipato un solo vescovo europeo, proveniente dalla Spagna. Sono dunque molto contento che la Cei, su iniziativa del cardinale Bassetti, abbia voluto promuovere a Bari l’incontro dedicato al Mediterraneo: ritengo necessario e improcrastinabile riflettere insieme sul fenomeno delle migrazioni, lavorare uniti, con spirito sinodale, per cercare soluzioni adeguate. Io avrei intitolato l’incontro “Mediterraneo, pace senza frontiere”, ma il titolo scelto dalla Cei – “Mediterraneo, frontiera di pace” – è ugualmente bello ed eloquente: la pace è la meta del nostro impegno, il frutto che i popoli attendono. Il Mediterraneo non può continuare ad essere frontiera di fame, sofferenza, disuguaglianza, angoscia, morte. Si badi, io definisco quello delle migrazioni un “fenomeno”, non un “problema”.

Per quale ragione?

Le migrazioni non sono un problema ma la conseguenza di molti problemi. Povertà, guerre, carestie e cambiamenti climatici, un sistema economico che – come dice Papa Francesco – stritola interi popoli: questi sono i problemi che danno origine al fenomeno migratorio. Dunque, penso che a Bari, nell’esaminarlo, dovremo necessariamente affrontare le cause, ragionare insieme e cercare soluzioni.

Ha una proposta che vorrebbe presentare ai suoi confratelli vescovi?

Avrei una proposta un po’ particolare: a mio giudizio è tempo di dedicare un sinodo alle migrazioni, che costituiscono un fenomeno mondiale. Non esistono infatti solo le migliaia di migranti che giungono in Europa: in Africa sono milioni coloro che si spostano da un Paese all’altro del continente, in Medio Oriente il Libano, la Giordania e la Turchia stanno accogliendo milioni di rifugiati e in sud America il numero di migranti è imponente. Tutta la Chiesa cattolica dovrebbe, a mio avviso, riflettere su questo tema e farlo cum Petro e sub Petro.

Quale ritiene sia la questione intra-ecclesiale più rilevante e urgente da affrontare nell’incontro di Bari?

Penso sia la poca compassione manifestata da molti cristiani verso i fratelli più fragili e vulnerabili, migranti inclusi. Soffro molto quando, in Spagna, alcune persone, dopo aver partecipato alla celebrazione eucaristica, mi chiedono, con tono astioso, di non mandare più migranti dal Marocco. Io rispondo spiegando che le persone devono potersi spostare, ne hanno diritto e non sono io a mandarle. E poi mi domando: come è possibile andare a Messa e non provare quasi alcuna compassione per uomini, donne e bambini che soffrono? 

Penso che a Bari dovremo lavorare insieme per capire come aiutare i cristiani di tutto il mondo ad allargare il cuore, a far circolare la compassione che il Signore prova verso tutti gli esseri umani. A mio giudizio è urgente concordare iniziative per incoraggiare questa conversione del cuore, per camminare nella direzione indicata da papa Francesco, che instancabilmente ci invita ad accogliere, proteggere, accudire i migranti e tutti coloro che sono prostrati da avvilimenti, sofferenze, privazioni.

Quali iniziative pensa potranno rivelarsi maggiormente feconde?

Penso a iniziative che possano favorire e incoraggiare la cultura dell’incontro e dell’accoglienza di cui parla sovente papa Francesco. Da questo punto di vista, l’appuntamento di Bari è molto lodevole: non si tratta infatti di un evento di circostanza, né di una riunione accademica né di un summit politico o economico: è, appunto, un incontro. I vescovi hanno deciso di trascorrere alcuni giorni insieme, di lavorare uniti per il bene dei popoli. Dobbiamo moltiplicare gli incontri tra noi pastori, a tutti i livelli, e impegnarci affinché lo spirito di incontro e di accoglienza che ci anima contagi le nostre comunità.

A Bari dovremo anche cercare di capire quali concreti progetti di accoglienza è possibile avviare. La Chiesa cattolica dimostra ovunque molta buona volontà e cuore largo, ma in certa misura dipende dalle scelte politiche dei singoli stati. Ricordo che in Spagna, in occasione di una massiccia ondata di rifugiati dalla Siria e dal Medio Oriente, la Chiesa e la popolazione erano pronte ad accogliere 100.000 persone. Il governo invece decise di riceverne solo 19.000 e dopo due anni ne aveva accolte meno di 2.000. Dunque, penso che a Bari sarà opportuno capire quali iniziative intraprendere per sollecitare la Comunità Europea a mutare la propria politica nei confronti dei migranti e, allo stesso tempo, favorire lo sviluppo dei Paesi da cui le persone partono. La Chiesa cattolica ha un’autorità morale riconosciuta universalmente e ha una responsabilità grande nei confronti dei migranti, di questa umanità prostrata dalla sofferenza e sorretta dalla speranza di un futuro migliore.

Il Marocco è sia destinazione finale sia Paese di transito per moltissimi migranti provenienti dai Paesi subsahariani: come sta reagendo la società al loro arrivo?

Direi che nella società è presente l’intero spettro delle reazioni: c’è chi è indifferente, chi è manifestamente ostile, chi nutre sospetti e diffidenza, chi invece benevolenza e compassione. E poi vi è una minoranza di persone – in costante aumento – che si impegna, anche a titolo gratuito, per offrire aiuto. Guardando al futuro sono ottimista: mi pare che la popolazione si stia sempre più rendendo conto che ogni persona deve poter essere libera di emigrare.

Come si articola l’accoglienza dei migranti offerta dalla Chiesa marocchina?

La Chiesa, attraverso la Caritas della diocesi di Rabat e la Delegazione per le migrazioni della diocesi di Tangeri, si impegna molto: assicuriamo assistenza medica e psicologica, educazione scolastica ai minori, formazione professionale, inserimento nel mondo del lavoro, sostegno a chi vuole avviare un’attività. Abbiamo inoltre aperto centri di accoglienza nei quali ci prendiamo cura in particolare dei malati, dei minori non accompagnati e delle mamme con bimbi piccoli.

Cristiana Uguccioni

Fonte: Vatican Insider - www.lastampa.it

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