Uganda – Costruire ponti di pace per la gente del Sudan del Sud
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13 Luglio 2020

(ANS – Palabek) – Costruire la pace significa costruire il Regno di Dio. Quest’incarico assegnato da Dio diventa più significativo quando viene fatto tra i più vulnerabili e oppressi, come i rifugiati. Il Sudan del Sud ha bisogno di pace più di ogni altra cosa. Questa regione dell’Africa, ricca di suolo fertile, acqua, minerali e soprattutto di persone, ha sofferto molto le guerre e i conflitti a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso – conflitti causati da varie fazioni e dalla politica fin dall’epoca coloniale. E purtroppo la pace non è ancora in vista.

La politica tribale è all’ordine del giorno nella maggior parte dei Paesi africani. Molti politici popolari trovano sostegno nelle loro affiliazioni tribali e affrontano le elezioni contando sul sostegno dato dall’appartenenza. Pertanto, si sentono obbligati a sostenere le loro tribù, in modo da mantenere le loro posizioni nei governi, e salvaguardare le ricchezze ottenute iniquamente. Il Sudan del Sud può essere il miglior esempio di politica tribale e la maggior parte delle guerre combattute dal 1955 ad oggi hanno avuto questa causa tra le sue radici. Con il passare dei decenni la situazione è diventata sempre più complessa e ha bisogno pertanto di soluzioni sempre più complicate e difficili da trovare (o inventare).

Date queste premesse, le persone del Sudan del Sud sono spinte alla diffidenza e al sospetto reciproco. Portano con sé sentimenti di insicurezza, bassa stima e apatia. Questo si riflette nella loro vita quotidiana e nelle decisioni che prendono. Lo stato d’animo conflittuale si acuisce per il fatto che tra una guerra e l’altra non è stato incoraggiato il dialogo tra le comunità: spesso i colloqui di pace hanno coinvolto solo i leader politici che hanno siglato accordi di pace artificiali. Ma i conflitti promossi a pieni mani tra le tribù, hanno messo le radici. E fino a quando la pace non sarà ristabilita nelle fondamenta, non ci potrà essere una pace significativa a livello nazionale.

In caso contrario, anche un piccolo malinteso ad un punto di distribuzione dell’acqua, nei campi da gioco e nei mercati, può essere trasformato in una vera e propria guerra, con conseguenze durature. Recentemente c’è stata un’esplosione di violenza nell’insediamento dei rifugiati di Palabek, nel Nord dell’Uganda, che ospita circa 55.000 rifugiati del Sudan del Sud. Una violenza che può essere attribuita in parte anche all’aumento dello stress e alla perdita del lavoro tra i giovani causati dall’isolamento forzato da COVID 19.

In situazioni come questa c’è bisogno di un rafforzamento delle capacità dei leader nella gestione dei conflitti e delle fasi di post-conflitto. Essi devono conoscere il giusto atteggiamento nei confronti delle tribù e delle differenze etniche. Una conoscenza superficiale delle loro culture e tradizioni non basta: bisogna comprendere più a fondo il significato della cultura, della tradizione e della loro storia. Anziché utilizzarle per fomentare l’odio, le differenze possono essere un buon mezzo per imparare culture, lingue e tradizioni.

Ma i leader e i funzionari cresciuti nel clima di sospetto reciproco difficilmente riescono ad andare oltre i loro pregiudizi. Dovrebbero essere educati ad essere neutrali ed equilibrati, ad andare oltre la visione della loro tribù e delle loro idee miopi.

La Chiesa può e deve essere la voce morale della società. La Chiesa può e deve essere un ombrello che abbraccia sotto la sua ombra persone di tutte le tribù e le differenze. E le agenzie umanitarie possono svolgere un ruolo educativo combinando i loro impegni umanitari e di sviluppo di cui c’è tanto bisogno.

A Palabek i salesiani condividono la vita e la battaglia per lo sviluppo dei rifugiati. Attualmente sono preoccupati per la violenza intertribale, che prima non esisteva. Si stanno adoperando per essere vicini alla gente, soprattutto a coloro che sono stati colpiti dalla violenza, cercando di aiutarli con il cibo e qualche altra necessità. La loro partecipazione agli incontri di pace, ai consigli e alle visite casuali alle famiglie è molto apprezzata. Hanno assicurato il loro sostegno e la loro assistenza alle autorità dell’insediamento e alle forze di sicurezza. Nelle prossime settimane sono previste altre iniziative strategiche.

Che Dio continui ad aiutarci a costruire ponti di pace e ci aiuti ad essere noi stessi ponti di pace e di armonia.

Don Lazar Arasu, SDB,

Direttore della Missione Salesiana a Palabek

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