Siria – Un solo uomo, don Bosco, è in grado di rendere felici così tante persone in tutto il mondo
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29 Agosto 2018

(ANS – Kafroun) – Riportiamo la testimonianza di Mariangela Branca, 23 anni, di Roma, che in collaborazione con l’ufficio missionario della Circoscrizione salesiana Italia Centrale (ICC), ha prestato la sua opera di volontariato nell’oratorio salesiano di Kafroun, Siria. 

Don Bosco Kafroun          
Questa opera salesiana è davvero impressionante; adesso con le nuove terrazze è ancora più grande ed ha più potenziale, possedendo tanto spazio anche all’aperto tra i campi da gioco e il giardino. Quando sono arrivata qui, a metà luglio, mi sembrava davvero un piccolo paradiso, in un paesaggio di montagna tranquillo, profondo e genuino; le prime impressioni sono state confermate poi dal quotidiano e dal modo dei giovani di guardare a questo luogo e a questa opera salesiana in particolare.

Le attività che animano la casa sono tante, soprattutto d’estate: la principale è l’estate ragazzi, che coinvolge tanti bambini e giovani per tre giorni alla settimana; a questa si affiancano negli altri giorni attività varie e formazioni per grandi e piccoli, così come gite ed escursioni di una giornata e campi organizzati fuori, che durano una settimana. Inoltre un’attività importante è anche la preparazione dello spettacolo finale dell’estate ragazzi, che coinvolge tutti con le prove e la preparazione. Ultima, ma non per importanza, c’è la Santa Messa domenicale, che prosegue anche d’inverno, insieme alle altre attività invernali come il catechismo e la formazione per i giovani; inoltre tutto l'anno si svolgono allenamenti e partite di diversi sport, tra cui calcio e basket, grazie ai grandi e funzionali campi esterni.

Ho parlato con alcuni animatori per farmi raccontare come vivono l’oratorio e come vedono la presenza del Don Bosco in questo contesto: mi hanno spiegato che è fondamentale per l’unione tra i bambini e ragazzi dei villaggi circostanti. Infatti la “cittadina” principale è Mashta, intorno ci sono i vari villaggi, tra cui Kafroun: da tutta questa zona, che è per la maggioranza abitata da cristiani, vengono i circa 250 bambini e la trentina di animatori che in questa estate hanno partecipato alle attività estive. I grandi mi dicono che questo è l’unico modo per loro di incontrarsi, conoscersi e fare amicizia, spegnendo anche un po’, dove presenti, le rivalità tra i villaggi. Inoltre è fondamentale per educare i più piccoli alla preghiera, alla condivisione, a stare con gli altri e tutto questo divertendosi!

La zona qui intorno non è stata toccata direttamente dalla guerra, ovvero non ci sono stati bombardamenti o combattimenti nel raggio di diversi chilometri; però indirettamente è stata colpita, come mi raccontano tanti giovani, per molti disagi come per esempio la mancanza di elettricità (che tutt’ora si verifica diverse volte al giorno), la mancanza di acqua e l’aumento spropositato dei prezzi dei beni di prima necessità.

 Oltre a questo, mi raccontano, durante la guerra anche qui avevano paura che arrivassero i combattimenti, perché nessuno sapeva come sarebbe cambiata la situazione da un momento all’altro. Anche qui avevano paura, anche qui spesso non riuscivano a dormire, anche qui piangevano per la sorte del loro Paese e dei loro amici e parenti lontani, nelle zone di guerra.
Proprio per questo, i giovani ragazzi dell’oratorio mi parlano di questa opera come di una seconda casa, una casa in cui si sentivano protetti, negli anni del conflitto acceso ed ancora oggi, un luogo dove dimenticare le paure e gli orrori di cui sentivano, un luogo dove essere dei semplici ragazzi spensierati, almeno per qualche ora.

Questa zona, essendo un luogo di pace, è stata rifugio di molti che, provenendo dalle zone più colpite non molto lontane (Aleppo, Homs, Damasco, Idlib..) si erano momentaneamente trasferiti qui. Molti sono rimasti e ci sono tutt’ora, altri sono ritornati perché le loro città di origine sono di nuovo sicure.

Questa “ondata” di persone provenienti da altre città in questa tranquilla zona di montagna e collina ha destabilizzato un po’ la vita quotidiana, ma è stata accolta molto bene dalla ridotta popolazione del posto, perché si conosceva perfettamente da cosa scappavano i loro connazionali. Quindi qui si è formata una vera e propria città, Mashta e dintorni: qualche animatrice mi dice che era diventata una “Piccola Siria”, poiché  si potevano incontrare persone provenienti da qualsiasi parte del Paese.

Anche il Don Bosco è stato importantissimo in questo processo, perché infatti è passato dall’ospitare circa 150 bambini ad ospitarne più di 600 per le attività prima descritte! 
Mi raccontano che non è stato facile all’inizio per tutti i bambini che si sono inseriti nelle attività perché molti di loro erano traumatizzati da quello che avevano vissuto nelle città di origine ed erano spesso nervosi o irrequieti. Però piano piano sono riusciti a sentirsi completamente a proprio agio e hanno anche condiviso con loro le proprie esperienze per sfogarsi di tanto in tanto. Davvero il lavoro di questo posto è stato miracoloso e ha ricucito molte ferite, sono tutti grati al Don Bosco Kafroun. Le parole più utilizzate da tutti sono sempre “seconda casa”.

A questo proposito ho parlato con un’animatrice che da Aleppo si è trasferita qui perché la città non era più sicura; mi ha raccontato che quando è arrivata qui si è sentita accolta, che è stata impressionata dalla fede e dalla genuinità delle persone del posto. Ha conosciuto subito il Don Bosco Kafroun - anche perché per i giovani che non vogliono perdersi ci sono poche altre attività - ed è stata colpita della facilità con cui ha fatto amicizia, dal primo giorno mi dice. Qui vedeva tutti fare il loro dovere, con tranquillità e serietà allo stesso tempo, con amore e dedizione e senza lamentarsi: questo l’ha cambiata, mi dice che si sente una persona migliore grazie a questo posto, lo adora! Ha trovato tutto quello di cui aveva bisogno e soprattutto un’identità, questo l’ha aiutata a sentirsi a casa e mai fuori posto. Infatti da un anno è tornata a vivere ad Aleppo con la sua famiglia e viene qui durante l’estate, ma anche quando è ad Aleppo segue e partecipa alle attività del Don Bosco di Aleppo. Un esempio bellissimo di integrazione secondo me.

Questa è la storia di una, ma possiamo dire che in generale quest’opera è stata un punto di riferimento per gli sfollati (cristiani) ed un modo anche per loro di “dimenticare” per un po’ il disastro nelle loro città e divertirsi. Adesso tutti qui, originari del posto o di fuori, si sentono sicuri e tranquilli; sanno che ormai la guerra sta volgendo al termine, almeno così pare e si spera, e non hanno più paura, vogliono vivere tranquilli e pregano che si rimetta in moto tutto il Paese. 
C’è tanta speranza in questo popolo e si vede nella ricostruzione già iniziata in molte città come Aleppo. Vedo la luce della speranza per il futuro, anche se a volte un po’ timida, negli occhi di questi giovani che hanno tanta voglia di fare e di imparare. 

“Vedi – mi dicono – un solo uomo, don Bosco, è stato in grado di rendere felici così tante persone in tutto il mondo, incredibile!”

InfoANS

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