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LÀ DOVE IL SANGUE VERSATO GENERA VITA
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18 Giugno 2019

È stata un’emozione molto viva incontrare giovani Bororo e Xavante insieme, i missionari che ogni giorno condividono la vita con loro e celebrare nel luogo del martirio di coloro che per difenderli hanno versato il sangue.

Miei cari amici, nel titolo vorrei condensare l’esperienza che ho vissuto il mese scorso. Ho visitato le presenze salesiane del Mato Grosso e Mato Grosso del Sud in Brasile. I primi salesiani sono arrivati qui 125 anni fa, nell’allora villaggio di Cuiabá, che oggi è diventato una città di 600mila abitanti, porta di quella meraviglia mondiale che è il Pantanal.

Avevo chiesto di incontrare i popoli indigeni con cui i salesiani hanno vissuto per decenni: gli Ayoreos, i Maskoy e i Chamacocos. Volevo portare la testimonianza della Congregazione nelle leggendarie missioni del Mato Grosso. Al crepuscolo di una sorprendente giornata, sono arrivato nell’insediamento degli indios Bororo a Meruri.

I Figli di Don Bosco, nel 1894, guidati da don Giovanni Balzola, aprirono una nuova missione nel Mato Grosso, a Cuiabà dando inizio alla prima evangelizzazione dei Bororo, con la fondazione della Sacra Colonia di Coraçao. Nel 1906 venne creata la "Colonia de Sangradouro", che in seguito ospiterà gli Xavante che erano stati espulsi e quasi annientati nella zona di Parabuburi. Un primo tentativo di avvicinare gli indigeni Xavante avvenne nel novembre 1934. Nacque nel sangue dei missionari salesiani don Giovanni Fuchs e don Pedro Sacilotti, vittime di un’imboscata.

Già nel 1926 la continua, stabile e solida presenza tra i missionari salesiani e questi insediamenti di indiani Xavantes e Bororos era una realtà. Presenze come Sangradouro, São Marcos e Meruri si sono consolidate fino ad oggi. Quando gli indigeni Xavante arrivarono al villaggio di Sangradouro, accolti dai salesiani e dai Bororo, pur essendo stati popoli nemici nella storia, la popolazione totale degli Xavante non raggiungeva i 900 membri. Oggi, grazie alle leggi di protezione e al rispetto della loro cultura la popolazione raggiunge i 30.000 membri.

A Meruri ci hanno accolto con affetto e con la loro tradizionale accoglienza. Mi è piaciuta molto anche la possibilità di incontrare tutti i missionari che attualmente condividono la vita con questa gente. Erano presenti 18 salesiani, 8 figlie di Maria Ausiliatrice e due sorelle della Congregazione di Santa Laura (conosciute come "Las Lauritas"), sorelle colombiane con le quali lavoriamo in armonia per il bene dei nostri fratelli indigeni.

La mattina seguente abbiamo vissuto due momenti di grande bellezza, umanità e significato storico e spirituale.

Il primo è stato l’incontro di 40 giovani Xavante, ragazzi e ragazze, che sono arrivati per condividere la giornata con i Bororo, in occasione della nostra presenza. Mai fino ad oggi Bororo e Xavante si erano incontrati in questo modo. I giovani Bororo e Xavante hanno reso possibile ciò che gli adulti non avevano mai fatto.

Abbiamo dialogato, danzato e cantato, celebrato l’Eucaristia e mangiato insieme ed eravamo almeno un centinaio.

Il secondo momento è stato ancora più commovente. Abbiamo celebrato l’Eucaristia nel centro del villaggio, il luogo in cui il salesiano don Rodolfo (Rudolf) Lunkenbein, missionario tedesco, e l’indigeno Simão Cristino Bororo sono stati uccisi dai facendeiros, i proprietari di grandi tenute ferocemente irritati con i salesiani che difendevano i diritti degli indigeni per le loro terre. Il 15 luglio 1976, arrivarono al villaggio e, dopo una discussione, spararono a don Rodolfo. L’indio Simão accorse per difenderlo e fu anche lui trucidato.

Il giorno della mia visita, ho potuto salutare, parlare e ringraziare un anziano testimone del martirio, anche lui colpito, ma salvato dai medici. Era là, umilmente presente, la mattina della nostra Eucaristia.

La causa di santità dei nostri due martiri, entrambi Servi di Dio, sta arrivando a conclusione.

Per me è stata una emozione molto viva ritrovarmi nella terra dei Bororo, incontrare i giovani Bororo e Xavante che volevano vivere insieme questo momento, incontrare fratelli e sorelle missionari che ogni giorno condividono la vita con loro e celebrare l’Eucaristia nel luogo del martirio di coloro che per difenderli hanno versato il sangue. Il motto scelto da Rodolfo Lunkenbein per la sua ordinazione era: “Sono venuto per servire e dare la vita”. Nella sua ultima visita in Germania, nel 1974, sua madre lo pregava di fare attenzione, perché l’avevano informata dei rischi che correva suo figlio. Lui rispose: “Mamma, perché ti preoccupi? Non c’è niente di più bello che morire per la causa di Dio. Questo sarebbe il mio sogno”.

Alle prime luci dell’alba, con tutta la comunità bororo, abbiamo fatto una piccola processione fino alle tombe di Simão Cristino e Rodolfo Lukembein, pregando per tutti i missionari salesiani. Il mio pensiero volava all’Africa, al confine del Burkina Faso dove, poco più di due mesi fa, al nostro fratello salesiano, il missionario spagnolo padre César Antonio Fernández, era stata strappata la vita, solo perché era sacerdote e missionario.

Il titolo del mio messaggio riguarda proprio queste due storie. Il sangue che viene versato e che produce tanto dolore, genera anche la vita. L’ho constatato nei villaggi Bororo e Xavante, e lo vediamo in Africa, dove ogni giorno si compiono "miracoli di vita".

Queste righe vogliono essere un Grazie a tante vite date con illimitata generosità. E grazie a tanti di voi, amici e lettori, che continuate a confidare nel bene che, insieme, cerchiamo di fare in questo mondo che ha sempre bisogno di buone notizie che rallegrano il cuore e storie che cambiano la vita, perché non c’è soltanto male in questo nostro mondo. Al contrario. È tanto il bene che ogni giorno viene seminato e germoglia, ma non fa notizia. Il male, le tragedie, la violenza e la morte invece sì.

Per questo dobbiamo essere diffusori di buone notizie. Come vi ho appena raccontato, anche nel dolore della morte ci sono fatti che generano la vita.

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