Uganda – Vivere e lavorare in un campo di rifugiati: la presenza salesiana a Palabek

06 Aprile 2023

(ANS – Palabek) – “Nel 2015, Papa Francesco ha invitato le Congregazioni non solo a lavorare nei campi profughi, ma anche a viverci. Così noi salesiani abbiamo accettato la sfida di essere all’interno di Palabek. Altre organizzazioni lavorano lì, ma non ci vivono. Partono ogni giorno, ma noi salesiani siamo gli unici autorizzati a vivere in luoghi come Palabek o Kakuma, in Kenya”. Sono le parole di Máximo Herrera, salesiano coadiutore argentino, missionario in Africa.

L’Uganda è il Paese africano con il maggior numero di campi profughi – 28 in totale – destinati a persone provenienti da Etiopia, Somalia, Congo, Ruanda, Burundi e Sudan. Si stima che vi risiedano in totale 1,7 milioni di rifugiati. Nel caso specifico di Palabek, che appartiene alle Nazioni Unite e copre un’area di 400 chilometri quadrati, vi sono ospitate circa 72.000 persone, principalmente dal Sud Sudan. Di questa realtà, il sig. Herrera ha parlato con il Bollettino Salesiano dell’Argentina, rilasciando una lunga intervista, che si riporta di seguito per i lettori di ANS.

Com’è vivere in un campo di rifugiati? Com’è la vita della gente?

Noi salesiani abbiamo una piccola casa; la maggior parte delle persone vive in case di fango o di paglia, ma la nostra almeno aveva la lamiera, l’elettricità e l’acqua. Fino all’anno scorso eravamo sei salesiani di sei Paesi: un venezuelano, due tirocinanti del Burundi e dell’Uganda, un congolese, un indiano e io. È stata un’esperienza molto bella. La nostra vita quotidiana nel campo è stata una sorpresa. La città dove compriamo il cibo è a 80 chilometri di distanza, su una strada di montagna, e abbiamo mangiato quello che mangia la gente di qui, mais e fagioli. Poi abbiamo la nostra casa, che è un po’ come un quartier generale. A otto chilometri dalla casa c’è la scuola, che è per la Formazione Professionale, l’unica lì. E poi ci occupiamo di tutte le attività del tempo libero: sport, teatro, musica. La cosa più difficile per un rifugiato è gestire il tempo, perché spesso non hanno nulla da fare.

Qual è la speranza, l’aspettativa di una persona che vive lì?

Il Sudan, da cui provengono i rifugiati, è indipendente solo da 11 anni ed è molto insicuro, perché le tribù si combattono a vicenda. Quindi chi entra nel campo - per lo più donne - e riesce a far studiare i bambini, non vuole tornare indietro. Noi salesiani abbiamo un programma che permette ai ragazzi di frequentare la scuola secondaria fuori dal campo. La presenza salesiana pensa al futuro, a dare strumenti ai ragazzi perché possano raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati.

Da quello che racconta, sembra che la missione salesiana in Africa sia molto legata alla vita quotidiana della gente…

Mi piace molto questo aspetto della spiritualità salesiana, questo aspetto del quotidiano. Trascorriamo l’intera giornata con i rifugiati in varie attività: Formazione Professionale, progetti agricoli, attività ricreative come lo sport, la musica, la danza, e siamo felici di questo. È così che noi salesiani ci avviciniamo a Dio. Don Bosco, infatti, aveva ben chiaro che l’educazione è il miglior dono che possiamo offrire in Africa. Non si accontentava di lavorare con i ragazzi poveri, ma voleva che uscissero dalla situazione in cui si trovavano, perché credeva che avessero un futuro.

Di fronte a una realtà così difficile, come si può sostenere la fede?

Credo di aver imparato a pregare da quando sono in Africa, perché ho visto l’impegno e la convinzione con cui pregano loro. Ci sono due dettagli che hanno attirato la mia attenzione: il primo è che entrano in chiesa a piedi nudi perché dicono che è un luogo sacro, santo. Il secondo è che si coprono il volto, davanti al Santissimo. Questo deriva dall’Esodo, da Mosè che si copre il volto per la troppa luce che impediva di vedere.

E infine va sottolineata la devozione a Maria. Specie nelle campagne, sono molto devoti alla Vergine. Come salesiani lavoriamo per diffondere la devozione a Maria Ausiliatrice, che, come ai tempi di Don Bosco, è la Madre che ci accompagna nei momenti difficili. Credo che questo abbia molto a che fare con il contesto dell’Africa, dove le donne sono quelle che scappano con i figli sulle spalle. Vedete che vengono a piedi con i piccoli, arrivano e continuano a prendersi cura di loro. E poi ricordano molto quando Gesù arrivò in Egitto, lo celebrano come il giorno dei rifugiati, perché anche Gesù era un rifugiato, era uno di loro.

Santiago Valdemoros e Juan José Chiappetti

Fonte: Bolettino Salesiano dell’Argentina

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