Don Francesco, la sua riconferma alla guida della Rete per il triennio 2025–2028 è arrivata durante l’Assemblea nazionale a Torino-Valdocco. Come vive questa fiducia rinnovata?
La vivo come un atto di fiducia e corresponsabilità, che va oltre la mia persona. L’Assemblea, con oltre 100 delegati da tutta Italia, è stata un momento di ascolto e discernimento collettivo. La riconferma è la prova che vogliamo proseguire insieme un cammino fondato sulla prossimità e sulla cura delle relazioni. È anche la conferma che il carisma di Don Bosco oggi ha ancora la forza di generare comunità, educazione e futuro.
Nella sua Relazione assembleare ha scelto un titolo molto evocativo: “Da soli non c’è storia”. Che cosa significa per lei?
È una frase che racchiude tutto il senso del nostro impegno. In questi anni abbiamo toccato con mano come la solitudine non sia solo un fatto personale, ma anche una strategia che divide, frammenta e impedisce di costruire. Dire “Da soli non c’è storia” significa affermare che il futuro si costruisce solo insieme, nelle alleanze, nella cura reciproca, nell’ascolto delle comunità. Non è uno slogan, è la nostra identità. Papa Francesco, in Fratelli Tutti (FT 32), ci ricorda che “nessuno si salva da solo”: solo insieme possiamo affrontare le sfide complesse del nostro tempo.
Guardando indietro a questi anni, quali sono i risultati che la rendono più orgoglioso?
Penso alle tante storie di speranza che abbiamo accompagnato. Abbiamo coinvolto oltre 6.300 giovani nel Servizio Civile Universale, attivato più di 400 progetti contro la povertà educativa e l’esclusione, consolidato la governance della Rete ottenuto la personalità giuridica come Rete associativa. Ma ciò che più mi colpisce è la forza delle relazioni: educatori, volontari, giovani che insieme hanno saputo trasformare la fragilità in possibilità. Come ci ricorda Don Bosco, l’educazione è sempre un atto di amorevolezza e di fiducia.
Durante l’Assemblea ha parlato di una “politica del Padre Nostro”. Che cosa intende con questa espressione?
È un’espressione di Don Bosco. Significa mettere al centro la cura delle relazioni. È una politica che parte dal riconoscere la dignità di ogni persona, che non lascia indietro nessuno. La nostra azione non è mai neutra: è educativa, sociale e anche politica, perché educare significa costruire cittadinanza, generare legami, promuovere diritti. È un modo per dire che la fraternità non è un sogno astratto, ma un progetto concreto che possiamo realizzare ogni giorno.
All’Assemblea avete approvato il Documento Programmatico 2025-2028, intitolato “Organizzare la Speranza”. Come sarà declinata questa speranza?
Il documento programmatico è una mappa dinamica che orienta le scelte e le azioni dell’Associazione. È declinato in cinque ambiti fondamentali: l’educazione dei giovani e la tutela dei minori, l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, il lavoro giovanile, la formazione della Rete associativa e il servizio civile. Ognuno di questi ambiti è un tassello fondamentale per costruire un futuro più giusto e inclusivo. Vogliamo che questa speranza sia visibile, concreta e misurabile, attraverso storie reali di cambiamento e di crescita. Vogliamo che sia una speranza che si traduce in azioni capaci di incidere e di trasformare davvero le vite delle persone.
Il nuovo Consiglio Direttivo riflette un grande radicamento territoriale e la partecipazione di tanti protagonisti. Che valore aggiunto porterà?
È un Consiglio che rispecchia la ricchezza della nostra rete: ci sono esperienze, competenze e sensibilità diverse, tutte unite dalla passione educativa. Dal Piemonte alla Sicilia, passando per il Forum Giovani, c’è una pluralità che è la nostra forza.
C’è stato anche un passaggio importante con l’elezione di un rappresentante degli enti nazionali nel nuovo Consiglio Direttivo. Cosa rappresenta questa scelta?
È un segno forte di apertura e di visione inclusiva. L’elezione del Presidente PGS come rappresentante degli enti nazionali è un segnale chiaro: vogliamo che la governance della Rete sia sempre più condivisa e integrata. CGS, PGS e TGS – con i loro linguaggi e ambiti specifici, come sport, cultura e turismo sociale – portano un valore aggiunto che arricchisce la nostra azione.
Quale sarà la sfida più urgente e quali saranno le priorità per i prossimi tre anni?
La sfida più urgente sarà costruire insieme una visione nazionale condivisa e sostenibile, capace di integrare le diversità dei territori e di dare voce alle fragilità. Vogliamo rafforzare i 6 Comitati e Presidi Territoriali, che saranno i veri cuori pulsanti della partecipazione e della co-decisione. Le priorità sono molte, ma possiamo riassumerle così: dare più voce ai giovani, rafforzare le alleanze locali, misurare l’impatto sociale delle nostre azioni e investire nella formazione. C’è però anche un grande impegno che accompagna tutte queste sfide: continuare a costruire comunità che siano presidi di speranza, dove nessuno si senta solo o invisibile. In questo percorso, la partecipazione delle Ispettorie e degli enti nazionali sarà fondamentale: insieme possiamo custodire e far crescere la forza educativa e sociale della nostra Rete.
Durante il CG29 è stata approvata la Delibera che riconosce e istituzionalizza la missione salesiana nelle opere e nei servizi per giovani in situazione di vulnerabilità o esclusione. Quale significato ha per lei questa delibera e come può orientare il cammino futuro di Salesiani per il sociale?
È una delibera che sento molto vicina al cuore del nostro impegno quotidiano. Riconosce, in modo istituzionale e carismatico, che l’azione educativa e pastorale a favore dei giovani più fragili è parte integrante della missione salesiana. È un passaggio importante perché afferma che non si tratta soltanto di rispondere a un’emergenza sociale, ma di fare una scelta di campo che nasce dal carisma stesso di Don Bosco. Nel testo della delibera si parla di ambienti e servizi che mirano a far scoprire ai destinatari la loro dignità di figli di Dio e a renderli protagonisti nella vita sociale ed ecclesiale. Questo è anche il cuore del nostro lavoro: costruire ambienti di fiducia e di speranza, dove i giovani possano ritrovare la loro dignità e la possibilità di incidere nella società. Questi luoghi non sono marginali, ma parte integrante delle nostre Comunità Educativo-Pastorali (CEP) e del Progetto Educativo Pastorale Salesiano (PEPS), al pari degli Oratori, delle parrocchie, delle scuole, dei centri di formazione professionale e dei collegi universitari. È una svolta che va oltre la forma: rappresenta un cambiamento culturale. Infine, la delibera ci invita a collaborare con altri organismi nella promozione del bene comune. È un mandato chiaro: non possiamo limitarci a “progetti” isolati, ma dobbiamo generare cultura e influenzare le scelte politiche, per difendere i diritti e costruire giustizia. Per me è uno stimolo prezioso: un invito a combattere la frammentazione, spesso ideologica, e a continuare a sognare e a costruire insieme.
Infine, c’è un messaggio che vuole lasciare a chi guarda a Salesiani per il sociale come esempio di comunità educante?
Vorrei dire che la notte, per quanto lunga, non è mai la fine. Il profeta Isaia ci invita a essere “sentinelle del mattino”: a vegliare anche quando sembra che tutto sia fermo. Noi non abbiamo tutte le risposte, ma sappiamo che insieme possiamo costruire un’alba nuova. La nostra rete non è perfetta, ma è viva e generativa. E la vera sfida è proprio questa: non restare fermi, ma camminare insieme, unendo le forze e custodendo ogni storia. Perché – come diciamo sempre – da soli non c’è storia. Ma insieme possiamo cambiarla.