Italia – “Abba Filippo”: un missionario salesiano in terra di prima evangelizzazione

(ANS – Venezia) – Si chiama don Filippo Perin, ma è molto più noto semplicemente come “Abba Filippo”, da come lo chiamano nella sua terra di missione, in Etiopia. Con le sue lettere missionarie, che ricordano quelle di tanti pionieri missionari salesiani dei decenni passati, racconta le esperienze vissute, le tradizioni e le usanze scoperte, le difficoltà e la povertà in cui si trova la sua comunità, la speranza che mai demorde. Rientrato in Italia per qualche giorno, ha risposto ad alcune domande che permettono di capire i perché della sua scelta missionaria e cosa lo porta ogni giorno ad intraprendere con nuova gioia il suo percorso.

di Francesca Bonotto

Chi è Abba Filippo e qual è il suo percorso missionario?

Sono don Filippo, sono missionario salesiano e sono originario di Porcia, in provincia di Pordenone.

Ho frequentato le medie e le superiori all’Istituto Salesiano “Don Bosco” di Pordenone, e per tre anni sono stato in Comunità Proposta a Mogliano Veneto, dove ho maturato la vocazione salesiana.

Dopo tutto il percorso per diventare sacerdote sono stato mandato all’Istituto Salesiano “Astori” di Mogliano Veneto e nuovamente in Comunità Proposta. Nel 2008 sono partito per l’Etiopia, per Gambella, dove per i primi 6 anni sono stato nella missione di Nyinenyang, mentre adesso sono in quella di Pugnido

Nella sua terra di missione, come s’inserisce il suo ruolo di missionario?

Nella missione di Pugnido, dove sono ora, siamo in due Salesiani e siamo in un’area di prima evangelizzazione: primo annuncio del Vangelo e aperture di nuove chiese in tanti villaggi, a partire da un centro più grande a Pugnido.

Quale motivazione l’ha spinta inizialmente a diventare missionario salesiano?

Sono stato varie volte con i giovani in missione d’estate, con la Scuola di Mondialità e lì ho maturato lentamente la voglia di partire per un periodo più a lungo. Vedere di persona la povertà, il lavoro e la vita dei missionari mi ha dato la motivazione finale.

Oggi rifarebbe questa scelta di vita e di fede? È sempre la stessa motivazione che la spinge a tornare lì, con la sua opera, o nel tempo è cambiato qualcosa?

Rifarei di nuovo questa scelta di vita e di fede, a cui sto dando tanto della mia vita, ma da cui sto anche ricevendo moltissimo. Vedo questo grazie all’incontro con la gente, con i giovani, con la povertà, con una fede grande in mezzo al niente.

Quando torna in Italia, cosa si porta della sua missione?

Mi porto le foto, la vita, il modo di vedere il mondo, il pensiero di essere qui, ma per tornare presto.

Cosa pensa oggi del suo paese di origine, in riferimento alla sua esperienza missionaria?

Qui sono nato: ho la famiglia, ho ricevuto la fede, la vocazione, gli amici, tanta riconoscenza e questo mi basta quando penso di tornare.

Qual è l’episodio, il ricordo o il momento che è stato, e che ancora oggi continua ad essere, il vero simbolo del suo essere sacerdote missionario?

Una volta ho incontrato in un villaggio disperso nella foresta un catechista che ci stava aspettando. Prima di andare in chiesa, ci ha accolto nella sua capanna con la sua famiglia e i suoi bambini. Erano tutti molto contenti del nostro arrivo e felici di vederci. Non avevano niente eppure ci hanno dato tutto. Quell’incontro mi ha cambiato molto dentro ed è rimasto il simbolo del mio agire e del mio vivere questo percorso di fede e vita.

Fonte: www.salesianinordest.it 

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