RMG – La nostra missione è portare Dio nel mondo

28 Aprile 2016

(ANS – Roma) – Incontro con don Ivo Coelho, Consigliere generale per la Formazione.

Qual è la storia della sua vocazione?

Sono cresciuto in una parrocchia salesiana di Mumbai, dove abbiamo avuto la benedizione della presenza di un giovane salesiano molto dinamico, che curava in modo particolare la formazione dei ministranti. La sua opera andava ben al di là dell'organizzazione di giochi e pic-nic e delle iniziative riguardanti la visione di film e altri momenti ricreativi. Don Mathew Thalanany, che è ancora vivo e felice, comprese molto bene che la pastorale giovanile salesiana va oltre l'attenzione per il tempo libero, perché riguarda la formazione e l'evangelizzazione. Don Mathew Thalanany riservava particolare attenzione alla nostra vita sacramentale e a poco a poco ci presentò don Bosco e i suoi ragazzi. Aveva anche una piccola biblioteca (si trattava solo di un modesto armadio) con libri su Domenico Savio e Michele Magone che ci invitava a leggere perché poi presentassimo agli altri il contenuto che avevamo appreso. Sapeva anche porre le domande giuste al momento opportuno, per noi e per le nostre famiglie. Sono così arrivato all'aspirantato di Lonavla, e infine, con tutte le decisioni piccole e grandi che hanno costellato il cammino, nel noviziato salesiano che in quegli anni operava a Yercaud, nell'India meridionale.

Quali sono stati i momenti più felici della sua vita salesiana?

Se ripenso ai momenti più felici della mia vita salesiana, ricordo subito l'anno di tirocinio pratico con i ragazzi e i giovani in difficoltà nella Casa “Bosco Boys Home” a Borivli, vicino a Mumbai. Ricordo anche altri momenti, come gli 8 anni che ho trascorso adempiendo l'incarico di Rettore e docente nel postnoviziato di Nashik, vivendo esperienze splendide con i giovani post-novizi e con i giovani di Nashik, e i 3 anni in cui ho risieduto a Ratisbona, in Terra Santa: è stato un periodo indimenticabile per la comunità e per la grazia di poter provare la concretezza dell'incarnazione nella terra in cui Dio ha scelto di camminare.

Qual è il compito del Consigliere per la Formazione?

Lo comprendo assistendo il Rettor Maggiore nel suo compito di promuovere “la costante fedeltà dei confratelli al carisma salesiano” (C126). Le Costituzioni parlano di “promozione della formazione integrale e permanente dei confratelli”, con particolare attenzione per la formazione iniziale. È interessante che le Costituzioni, quando parlano di “formazione”, intendano la formazione globale, che termina solo con la morte e che comprende la formazione iniziale come uno dei momenti del percorso. È una vera sfida: condurre tutti i confratelli a comprendere, accettare e vivere tutto questo, dedicando pure particolare attenzione alla formazione iniziale.

Secondo lei, qual è il livello di formazione della Congregazione Salesiana?

Abbiamo documenti importantissimi, molto ammirati e apprezzati da tante altre congregazioni religiose. La nostra sfida consiste nel conoscerli, assimilarli e, soprattutto, metterli in pratica. È interessante osservare come abbiamo un punto di vista radicalmente nuovo sulla formazione permanente dal 1984. Nelle Costituzioni promulgate nel 1984, la parola “formazione” fa riferimento alla formazione permanente, all’interno della quale la formazione iniziale è solo uno dei momenti, sebbene sia essenziale. La chiamata di Dio è permanente e continua e la formazione, che è la nostra risposta a questa chiamata, è altrettanto permanente e continua (si veda C96). Si potrebbe dire che la formazione permanente sia un atteggiamento continuo di discernimento, “fare esperienza dei valori della vocazione salesiana” (C98), la capacità di discernere la voce dello Spirito negli avvenimenti della vita quotidiana (C119), la capacità di vedere Dio nelle persone da cui siamo mandati (C95).

Come potrebbe essere una formazione spirituale per la Famiglia Salesiana?

Don Bosco ci ha insegnato che la formazione è questione di cuore, credo che questa sia l’altra grande sfida: fare sì che la formazione iniziale, in particolare, sia una questione di cuore. Se il cuore non viene toccato, non vi è formazione. Si avverte quindi la necessità di una preparazione sistematica dei formatori e dei Direttori, ricorrendo a ogni aiuto delle scienze umane e attingendo alla tradizione semplice, ma straordinaria, di Don Bosco.

Quanti sono attualmente i noviziati e gli studentati del mondo?

Attualmente il mondo salesiano conta circa 40 noviziati, con una media di 450 novizi l’anno. Abbiamo appena terminato un corso per i Maestri dei Novizi di lingua italiana, spagnola e portoghese, a cui hanno preso parte circa 20 allievi. A novembre 2016 terremo un altro corso per altri 20 Maestri dei Novizi di lingua inglese. Ci sono poi postnoviziati di vario genere e c’è il momento della formazione specifica. Abbiamo centri per salesiani coadiutori, tra cui “CRESCO” a Città del Guatemala, “Sandor House” a Paranaque, nelle Filippine, e altri per candidati al sacerdozio. Praticamente ogni Ispettoria ha un pre-noviziato, che dovrebbe essere considerato con la stessa serietà riservata al noviziato.

Quali sono i motivi di maggior soddisfazione?

La mia gioia più grande è stata sicuramente la possibilità di visitare comunità di formazione in diverse parti del mondo e scoprire giovani Salesiani e candidati alla vita religiosa semplicemente meravigliosi. Dio continua a mandarci giovani straordinari. E penso che con questo suo dono ci inviti a essere preparati meglio ad accoglierli e accompagnarli.

La Famiglia Salesiana è un tesoro ancora da scoprire in molte parti del mondo. Ricordo l’invito di Don Chávez: passare dalla mentalità tipica di un’associazione a quella peculiare di un movimento. Gli ultimi documenti della Famiglia hanno infatti enormemente ampliato il campo di azione della Famiglia stessa, in modo che abbracci tutti gli amici e ammiratori di Don Bosco, cioè i tanti laici che condividono la sua missione. Ricordo l’esperienza vissuta qualche anno fa a Valdocco, quando Don Ángel, appena eletto Rettor Maggiore, incontrò i partecipanti al programma di formazione di Quito: è stato straordinario vedere tanti laici alzarsi per parlare con semplicità e orgoglio della loro “vocazione salesiana”. Quito è una delle tappe fondamentali della formazione di Salesiani e laici insieme, ma ci sono anche altre meravigliose esperienze da cui possiamo imparare, come quelle del Belgio e della Spagna.

Lei ha fatto un documento sulla “Vita come preghiera”. Come possiamo realizzare una “vita come preghiera”?

Lo riassumo per me come il semplice invito a Venire e Vedere: vedere Dio in coloro ai quali siamo inviati e mostrare loro Dio. Mi piace pensare alla nostra vocazione come un'epifania: non siamo chiamati a essere persone che lavorano per i giovani e per il ceto dei lavoratori, ma persone che sono segni e portatori dell'amore di Dio per loro. Il volto misericordioso del Padre per loro. E le nostre Costituzioni ci rivolgono il meraviglioso invito a vedere Dio anche in coloro dai quali siamo mandati. Dio infatti è di fronte a noi, presente e operante. Siamo chiamati a vedere, a ringraziare, a pregare, a intercedere. I giovani sono il nostro roveto ardente: siamo chiamati a riconoscere questa realtà e a toglierci i sandali. Siamo invitati a permettere loro di entrare nella nostra consapevolezza e nella nostra preghiera.

Fonte: Bollettino Salesiano

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