Vaticano – Suor Mariluce dos Santos, FMA: “Con lo spirito verde, come l’Amazzonia: così è la nostra speranza”

24 Ottobre 2019

(ANS – Città del Vaticano) – Suor Mariluce dos Santos Mesquita, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, è una delle donne brasiliane che partecipano al Sinodo per l’Amazzonia, in qualità di uditrice. Attualmente è Coordinatrice della Comunità FMA nella missione di Taracuá, sulle rive del fiume Uaupés, nell’estremo nord-ovest dell’Amazzonia. In un’intervista al Bollettino Salesiano del Brasile ha parlato della sua vocazione.

Chi è Mariluce?

Sono di etnia Bará, sono nata al confine tra Colombia e Brasile. Il mio nome di nascita è Diatoh, che significa “fonte d’acqua”… Volevo diventare insegnante e ho studiato e mi sono formata con le Figlie di Maria Ausiliatrice… Avevo realizzato quello che era il mio progetto di vita, ma non ero felice perché sentivo che mi mancava qualcosa e ho scoperto che il mio piano di vita, se non era unito al piano di Dio, non valeva la pena.

Quali sono gli aspetti positivi e le sfide della missione?

Ritengo positiva la missione di servire instancabilmente, con molto amore, perché richiede anche sacrificio, non ci sono macchine, né autobus. Ma le sorelle missionarie e noi siamo lì insieme. Con il nostro modo di essere indigene, con la nostra spiritualità e le nostre caratteristiche, ci integriamo con i missionari e viviamo il carisma salesiano. Oggi siamo dieci suore di origine indigena…

Qual è il suo contributo al Sinodo?

Il mio primo contributo l’ho dato nella consultazione che si è svolta nelle comunità di Taracuá, nell’Alto Río Negro… Come uditrice, ascolto e ascolto. E se avrò ancora tempo per parlare, parlerò anch’io. È il cammino che Dio mi sta tracciando, non è una mia scelta. C’è questo sentimento di gratitudine verso Dio e, allo stesso tempo, una grande responsabilità di rappresentare il mio popolo.

Perché il Sinodo è importante?

Questo Sinodo è molto importante da ascoltare per sentire i popoli dell’Amazzonia, i popoli indigeni che vivono in questa realtà. E così facendo sta già cominciando a cambiare il modo in cui la Chiesa serve ed evangelizza in Amazzonia, perché vuole avvicinarci a Lui, Gesù.

Cosa può fare il Sinodo per le presenze cristiane indigene nella regione?

Può portare speranza, una nuova forma di evangelizzazione, più leadership giovanile. Nel nostro campo indigeno non esiste la figura del diacono permanente. C’è un solo sacerdote in parrocchia e non raggiunge tutte le comunità, è tutto molto difficile, molto distante, molto costoso. Uno dei punti positivi dell’Instrumentum Laboris del Sinodo è quello di parlare del diacono permanente, perché ci sono famiglie che sono fedeli, che danno una buona testimonianza, sono persone sposate che vivono fedelmente e potrebbero donarsi maggiormente alla Chiesa. Abbiamo molta speranza nel Sinodo, che aiuterà e sarà qualcosa di positivo per tutta la Chiesa. Con lo spirito verde, come l’Amazzonia: così è la nostra speranza!

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