Italia – Al Museo Etnologico Missionario di Colle Don Bosco la documentazione museale di oggetti secolari appartenenti alle popolazioni indigene dell’alto Rio Negro

16 Ottobre 2025

(ANS – Castelnuovo Don Bosco) – Si sta svolgendo in questi giorni, dal 7 al 18 ottobre, presso il Museo Etnologico Missionario (MEM) del Colle Don Bosco, la seconda fase del “Seminario Internazionale per la Liberazione degli Antenati” coordinata dal Professor Renato Athias del Dipartimento di Antropologia e Museologia dell’Università Federale del Pernambuco (UFPE), in Brasile. Questa fase del seminario consiste in un laboratorio di documentazione museale che mira a identificare e documentare la storia e il significato di oggetti secolari presenti nella collezione del Museo, basandosi sulle conoscenze tradizionali indigene, e a produrre contenuti multimediali (video e audio) che integrino la documentazione formale dei manufatti e supportino la creazione di un “rimpatrio virtuale” degli oggetti, consentendo così alle comunità indigene di accedere al proprio patrimonio culturale, proveniente dalla collezione di oggetti dei popoli indigeni del Rio Negro, in Amazzonia, Brasile, conservata presso il MEM.

La prima fase del seminario era stata organizzata dalla Federazione delle Organizzazioni Indigene del Rio Negro a São Gabriel da Cachoeira, dal 25 al 29 agosto 2025. Ora i rappresentanti indigeni, Maximiliano Menezes (etnia Tukano), Alexandre Rezende (etnia Tuyuka) e Afonso Fontes (etnia Baniwa), sono stati scelti per recarsi in Italia e partecipare a questo laboratorio di documentazione museale in qualità di esperti indigeni e detentori di conoscenze tradizionali. Con la loro competenza, essi favoriscono l’identificazione e la documentazione di oggetti rituali appartenenti alle popolazioni indigene del Rio Negro presenti nella collezione del museo italiano.

Partecipa al laboratorio anche Letizia Pecetto, curatrice e rappresentante del Museo Etnologico Missionario di Colle Don Bosco, particolarmente interessata a valorizzare la documentazione etnografica del museo; Il prof. Athias, antropologo che negli ultimi anni ha prodotto informazioni etnografiche su oggetti e manufatti indigeni presenti nelle collezioni museali europee; e la dott.ssa Anna Bottesi, antropologa, in rappresentanza dell’Università di Bologna e del progetto “Knowledge of Things: Reassessing the Indigenous American Heritage” (KNOT) in Italia, guidato da Davide Domenici dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Queste collezioni sono come finestre che raccontano una storia unica attraverso oggetti indigeni conservati. “Per i popoli indigeni del Rio Negro, questi manufatti sciamanici sono simboli ancestrali, non solo per la loro bellezza o rarità, ma per il loro profondo significato come patrimonio culturale. Pertanto, le collezioni etnografiche non sono solo collezioni di oggetti, ma custodi della memoria, dell’identità etnica e della cultura. Permettono di entrare in contatto con il passato, comprendere il presente e ispirare il futuro, svolgendo un ruolo cruciale nella conservazione e nella celebrazione del patrimonio culturale dei popoli indigeni del Rio Negro” afferma con entusiasmo la dott.ssa Pecetto.

Queste attività sono svolte attraverso un progetto in corso sostenuto da due istituzioni: il Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Scientifico e Tecnologico (CNPq) e la Fondazione Wenner-Gren di New York.

Grazie alla partecipazione di rappresentanti indigeni, il laboratorio consente la connessione e un dialogo arricchente e, soprattutto, la contestualizzazione dei manufatti indigeni, garantendo che le storie e i significati a loro attribuiti siano rispettati e valorizzati. In questo modo, non solo viene documentato il passato, ma viene anche illuminato il presente e ispirato il futuro, celebrando la diversità culturale che senza dubbio arricchirà il Museo Virtuale dei Popoli Indigeni del Rio Negro, attualmente in fase di sviluppo da parte della Federazione delle Organizzazioni Indigene del Rio Negro (FOIRN).

“La vera novità di questo lavoro risiede proprio nella collaborazione diretta tra il museo e i popoli indigeni, che per la prima volta lavorano fianco a fianco nel processo di documentazione, intrecciando saperi accademici e conoscenze tradizionali – conclude la dott.ssa Pecetto –. Questo approccio partecipativo rappresenta un cambio di prospettiva fondamentale: la narrazione museale non è più calata dall’alto, ma costruita insieme a chi quei manufatti li riconosce come parte viva della propria storia”.

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