In quella casa salesiana, aperta dal Beato Don Michele Rua nel 1901, il piccolo oratoriano Luigi Bolla nel 1943 e 1944, all’età di 11 e 12 anni, udì la voce di Gesù (ne è stato certo) che gli indicava il disegno: “Sarai missionario nella selva tra gli indigeni e porterai a loro la mia Parola. Camminerai moltissimo a piedi nella selva…”. Tutto s’è avverato tra il 1953 e il 2013.
Don Farfán e i suoi confratelli hanno incontrato il Direttore della casa salesiana, don Ivan Ghidina, e la comunità religiosa dell’oratorio, recandosi poi a visitare brevemente l’industriosa cittadina che era stata individuata già a fine ‘800 come terreno ideale per un’opera salesiana, a causa della situazione sociale-industriale somigliante alla Torino del secolo XIX.
Hanno così conosciuto l’oratorio, le strade e le industrie di Schio, il Duomo dove il piccolo Luigi ricevette i primi Sacramenti, la sua casa natia: i luoghi abituali del futuro “Yánkuam’” a loro così caro per aver operato inizialmente proprio in Ecuador, con i nativi Shuar.
Commosso è stato poi l’incontro con i famigliari di don Bolla: il fratello Antonio, nipoti, cugini, e i due “decani” della famiglia, la cognata Gianna, e il cugino della mamma, Giovanni, ambedue novantunenni. Hanno pranzato tutti assieme, scambiandosi ricordi che ciascuno portava in cuore sulla figura del grande missionario.
Nel pomeriggio il gruppo s’è recato in visita al Santuario di Santa Giuseppina Bakhita, la piccola sudanese rapita e fatta schiava bambina a 7 anni, poi approdata a Venezia, divenuta Suora Canossiana e vissuta dal 1902 alla morte, nel 1947, nel Convento di Schio dove oggi riposano i resti mortali. Luigi Bolla, bambino, aveva conosciuto la “Madre Moretta”, ne incrociava lo sguardo ogni mattina servendo Messa nella chiesa del Convento: rimarrà sempre devoto a Bakhita e la farà conoscere ai suoi Achuar. Ne è sorto così un legame tuttora molto stretto tra Salesiani e Canossiane di Schio. Prima di rientrare, gli ospiti ecuadoriani hanno chiesto di recarsi al vicino cimitero, dove hanno pregato a lungo sula tomba dei genitori e fratelli di “Yánkuam’”. Una giornata d’intensa spiritualità, a loro stesso dire.
La Messa feriale delle 18:30, concelebrata sul luogo della “chiamata” del piccolo Luigi, ha concluso la giornata in maniera tanto intimamente partecipata quanto sorprendente, nell’alternanza della lingua italiana e spagnola, canti in achuar e l’omelia del giovane salesiano indonesiano in caricato della cura degli Achuar dell’Ecuador, celebrante in abiti tradizionali di quel popolo. Quasi un gemellaggio spirituale, che a Schio non sarà dimenticato.
