Uganda – Palabek piange la morte di Eugene, il rifugiato che accolse i primi salesiani nella sua umile capanna

18 Novembre 2019

(ANS – Palabek) – Aveva 77 anni e aveva il sogno che tornasse la pace in Sudan del Sud, per poter tornare a casa. Eugene Obwoya era l’eccezione nel campo per rifugiati di Palabek, in Uganda, dove quasi il 90% per cento dei residenti è formato da donne e bambini. Era stato un funzionario governativo in Sudan e, insieme alla sua inseparabile moglie Agnes, fu tra i primi ad arrivare a Palabek. Era un catechista, un mediatore nei casi di conflitto, una guida spirituale e una persona rispettata da tutti. Un ictus l’ha colpito oltre un mese fa e un complicato intervento chirurgico dovuto ad un tumore alla testa hanno indebolito le sue difese fino alla morte, avvenuta ai primi del mese. Le sue spoglie riposano ora nel suo tanto desiderato Sudan del Sud.

A Eugene non importava avere cinque figli con un lavoro stabile al di fuori del campo profughi – e tra questi, un professore dell’Università di Juba, un amministratore a Kampala, capitale dell’Uganda, e un ingegnere delle telecomunicazioni in Cina. Il suo posto era nell’insediamento, anche se la sua famiglia gli metteva pressione perché voleva che lui e sua moglie Agnes, insegnante in pensione, lasciassero quella vita scomoda e difficile a Palabek e si godessero gli ultimi anni di vita in pace.

Ma Eugene, ingegnere agronomo, era sempre stato chiaro: “Questa è la terza volta che vivo in un campo per rifugiati, e sognare la pace nel Sudan del Sud e aiutare i miei compatrioti è ciò che mi tiene in vita”, aveva detto circa un anno fa.

Era la persona per la quale i salesiani cominciarono a vivere a Palabek. Nel Sudan del Sud era già catechista, e nel campo profughi guidava le preghiere dei primi rifugiati sotto gli alberi. Quando a Palabek giunse il primo salesiano per vedere il lavoro che le ONG stavano facendo con i rifugiati, Eugene gli chiese di celebrare la Messa e di tornare assiduamente, e così proseguì finché i primi tre missionari salesiani rimasero a vivere nella sua capanna.

Sempre pronto ad aiutare, Eugene non negava ad alcuno una sedia e una tazza di tè per poter parlare tranquillamente alle porte del suo “tukul” (la capanna). “Sono in pensione da anni ed è vero, in Sudan del Sud avevo molta terra da coltivare, alberi da frutto e macchinari a sufficienza per sfamare la mia famiglia e vivere bene – ricordava –. Ma il mio posto ora è qui, aiutando in tutto ciò che posso i più giovani”.

La domenica faceva da ministrante alle Messe ed era sempre attento ad avere tutto sotto controllo. Un giorno ebbe delle difficoltà a leggere una delle Letture e fu il primo sintomo che qualcosa non andava più nella sua salute. Otto mesi fa, quando l’équipe di “Misiones Salesianas” e “Jóvenes y Desarrollo” stavano girando il documentario “Palabek. Rifugio di Speranza”, gli operatori gli consegnarono alcune foto scattate qualche mese prima, durante il primo viaggio. In quel momento mostrò loro la sua ultima idea: un piccolo allevamento di polli per alleviare la fame nel campo e dare impulso all’economia locale.

Ora Palabek piange l’assenza di Eugene, l’uomo buono che tutti conoscevano e a cui chiedevano consiglio.

Alberto López Herrero

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