In questo testo, curato da don Giovanni Bonetti, si parte da una frase del cardinale Gaetano Alimonda: “Gesù Cristo scolpì nel Cristianesimo la propria fisionomia: l’umiltà”. Tale virtù, ignota al paganesimo, è introdotta dal Vangelo e testimoniata da Cristo in tutta la sua vita, dall’Incarnazione alla Croce.
Nel testo l’autore mette anche in dubbio la reale umiltà di illustri pensatori pre-cristiani, come Socrate o Diogene, individuando in esse forse delle forme raffinate di superbia. L’umiltà cristiana, invece, è autentica, divina, e trova la sua piena espressione nel Cuore di Gesù, che si è annientato per amore, abbracciando la condizione umana più povera.
San Francesco di Sales, uno dei principali promotori della devozione al Sacro Cuore e patrono della Congregazione voluta da Don Bosco, è nuovamente richiamato per ricordare come egli desiderasse che l’umiltà fosse alla base dell’Ordine da lui fondato, le Figlie della Visitazione. Egli, infatti, invitava le sue religiose a considerarsi morte al mondo, nascoste con Cristo in Dio, e a vivere l’annientamento di sé nella fede e nell’amore. Ma questa chiamata all’umiltà, prosegue l’autore, non riguarda solo i religiosi, ma ogni cristiano, poiché, come afferma San Paolo, tutti devono spogliarsi dell’uomo vecchio per rivestire quello nuovo.
L’umiltà si esercita in due modi: nell’intelletto e nella volontà. La prima consiste nel riconoscere il proprio nulla davanti a Dio, e nel sottomettere la ragione alla fede, accettando che tutto nel mondo – vita, morte, intelletto, amore – sia avvolto nel mistero. La seconda, più difficile, riguarda l’agire: mettere in pratica ciò che si conosce come vero e buono, vincendo la ribellione della volontà e la tendenza al peccato.
Cristo, pur essendo Dio, riconobbe nel Padre l’origine di ogni bene e visse una vita intera di umiltà operosa, invitando tutti a imparare da lui, mite e umile di cuore. L’umiltà è stata lo strumento con cui Dio ha realizzato la creazione e la redenzione; per essa Maria è divenuta madre del Verbo; attraverso di essa i santi partecipano alla natura divina.
Il testo si conclude con un invito chiaro: la devozione al Sacro Cuore non è un sentimento vago, ma implica conoscenza, amore e imitazione. Solo chi fa dell’umiltà la regola della propria vita, nei pensieri e nelle azioni, può considerarsi vero devoto del Cuore di Gesù.
Il testo completo dell’articolo scritto per il Bollettino Salesiano del 1886 è disponibile nella versione originale dell’italiano dell’epoca, a fondo pagina.
