Uno degli studi è quello condotto dallo Springtide Research Institute, intitolato: “Parlare di religione a casa è importante per la fede degli adolescenti”. Il secondo è invece frutto dei risultati emersi dal sondaggio del 2025 condotto su 97 giovani del “Camp Savio”, un vivace programma di Pastorale Giovanile della California meridionale. Sebbene molto diversi per portata, entrambi gli studi giungono alla stessa conclusione: i giovani non stanno abbandonando la fede, ma si stanno orientando verso una versione di essa che sia reale, relazionale e rilevante.
Partendo dal sondaggio di Springtide, si può evidenziare che gli adolescenti che occasionalmente parlano di religione a casa sono molto più propensi a rimanere saldi nella loro fede. Non si tratta di devozioni quotidiane o dibattiti teologici, ma di presenza e apertura mentale. Quando i genitori e gli adulti di fiducia creano lo spazio per conversazioni spirituali, la fede sembra meno un insieme di regole e più una relazione. I giovani del “Camp Savio” lo confermano, ma da una prospettiva diversa. Quando è stato chiesto loro cosa significasse Dio per loro, non hanno snocciolato dottrine, ma hanno fatto affermazioni del tipo: Dio mi fa sentire al sicuro; Lo amo; È come avere una conversazione.
Non si tratta di teologia da manuale, ma di spiritualità relazionale. Per questi adolescenti la fede non si basa su insegnamenti astratti, ma su legami, emozioni e fiducia.
Mentre Springtide sottolinea il potere delle conversazioni sulla fede in famiglia, le risposte del “Camp Savio” dimostrano che molti adolescenti non hanno questo tipo di conversazioni. Alcuni descrivono addirittura la propria casa come spiritualmente silenziosa o, peggio ancora, critica o coercitiva. Per questi giovani, la fede diventa un rifugio, dove la compassione, il dialogo e il senso di appartenenza sono la norma.
In entrambi gli studi, il messaggio è forte e chiaro: gli adolescenti di oggi non vogliono una religione fatta di regole, ma una fede che abbia attinenza con la vita reale. Chiedono conversazioni sulla salute mentale, opportunità di servire gli altri e vogliono chiese che dialoghino con loro, non solo che parlino di loro.
Al “Camp Savio”, i giovani hanno chiesto messe più interattive, sermoni più vicini alla loro realtà e musica che rifletta la loro cultura. Non vogliono che la fede sia meno sacra, ma che sia meno distante. Anche Springtide sostiene questo: gli adolescenti che si sentono emotivamente al sicuro e relazionalmente connessi sono molto più propensi a trovare significativa la fede.
Ecco, quindi, cosa è necessario ricordare: i giovani non sono disinteressati alla fede, ma sono distaccati dal modo in cui spesso viene presentata. Vogliono una chiesa che li ascolti. Una famiglia che accolga le loro domande. Un mentore che dica loro: «Non sei solo».
Allora, stando a questi studi, come dobbiamo reagire?
Se sei un genitore: parla della tua fede, non in modo ideale, ma onesto. Fai vedere ai tuoi figli che anche tu hai delle difficoltà.
Se sei un leader della chiesa: crea spazi interattivi, diversificati e radicati nella vita reale. Dai ai giovani la possibilità di assumere un ruolo di leadership.
Se sei semplicemente una persona che ha a cuore questa tematica: sii presente. Sii gentile. Sii coerente. Potresti essere la ragione per cui un adolescente si sente visto da Dio.
“Come esponente della Pastorale Giovanile – scrive Juan Carlos Montenegro, uno dei responsabili del Camp Savio - Ho trascorso anni ad ascoltare i cuori dei giovani. E se ho imparato qualcosa, è questo: il futuro della fede non sarà salvato da una predicazione più forte, ma da un ascolto più profondo, e a volte questo è molto difficile per me. Gli studi non ci dicono di andare nel panico, ma di cambiare rotta. Se vogliamo che la fede sia importante per questa generazione, dobbiamo smettere di cercare di farla adattare alla religione e iniziare a far sì che la religione si adatti alla loro vita. Loro sono pronti. E noi?”.
