Etiopia – Garantire le necessità basilari e l’educazione ai giovani di Pugnido

22 Settembre 2016

(ANS – Pugnido) – Il campo rifugiati di Pugnido, il più vecchio della regione di Gambella, in Etiopia occidentale, accoglie circa 60.000 persone, la maggior parte delle quali ha subito le violenze del conflitto in Sud Sudan. Dal 2006 la missione dei salesiani di Pugnido è cresciuta e si è sviluppata per soddisfare al meglio le necessità della crescente popolazione di rifugiati e di coloro che vivono nei dintorni.

Non lontano da Pugnido c’è Jikawo, un paese che nello scorso aprile ha subito un attacco che ha causato 208 morti e oltre 100 bambini sequestrati. I sopravvissuti si trovano adesso nel campo rifugiati assistiti dai missionari salesiani di Pugnido. “Il peggio è passato e adesso i bambini vengono restituiti alle loro famiglie”, dice don Giorgio Pontiggia, missionario salesiano del campo rifugiati. “È un incubo che si ripete continuamente, però questa volta è stato di grande entità”, ha detto il salesiano.

I Salesiani, senza indugio, stanno continuando il lavoro educativo e di evangelizzazione con i giovani. L’obiettivo è garantire che i giovani abbiano la maggior parte delle loro necessità basilari soddisfatte in modo che possano concentrarsi nell’educazione che ricevono e conseguire così le abilità necessarie per ottenere e mantenere un impiego stabile.

I Salesiani affrontano notevoli sfide a Pugnido e si impegnano per assicurare che tutti i bambini abbiamo accesso all’educazione, all’alimentazione, all’acqua potabile e la cura della salute.

Come voleva Don Bosco, nella missione salesiana di Pugnido i giovani sono i protagonisti. “Loro hanno una forza incredibile di vita e trasmettono allegria e amore” racconta don Pontiggia.

La missione di Pugnido è cresciuta e si è sviluppata grazie all’aiuto di tanti benefattori. “In nome di questi giovani li ringraziamo. Il loro sostegno dà a noi l’opportunità di aiutare questi giovani a crescere… E infinita gratitudine va anche a coloro che aiutano pregando per noi. È un ponte invisibile, però forte che ci mantiene uniti” conclude il missionario salesiano.

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